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Channel: Bioedilizia in Italia: progetti italiani di architetture ecosostenibili
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L'anagrafe delle opere incompiute in Italia

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Un proverbio dice “chi bene inizia è a metà dell’opera”, ma nel caso che l’opera sia incompiuta vorrà dire che la sua realizzazione è stata errata sin dall’inizio. È il caso delle opere incompiute disseminate in Italia che fino ad oggi, ottimisticamente, sono costate 4 miliardi di euro buttati letteralmente al vento, costi monetari ai  quali va aggiunto il danno per aver deturpato il paesaggio di coste, valli, skyline urbani e tanti altri luoghi.

OPERE A METÀ: 600 STRUTTURE MAI TERMINATE IN ITALIA

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Monitorare gli sprechi delle opere incompiute in Italia

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Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ha finalmente ricevuto la documentazione presentata da tutte le Regioni italiane, ha attuato una norma voluta dal governo Monti per stilare -per la prima volta- una vera e propria anagrafe delle opere incompiute. Il risultato è a dir poco sconvolgente visto che, nonostante l’elenco non sia completo, al momento nessuna regione è esente da questo problema. Ad oggi l’anagrafe delle opere incompiute ne riporta oltre seicento, alcune rimaste a metà, altre appena cominciate.

Il tour delle opere incompiute parte dall’estremo Nord Italia, in Valle D’Aosta, dove sono stati spesi 8,8 milioni di euro per il terminal dell’aeroporto Saint-Christophe, mai terminata e per la quale servono oltre 3 miliardi per completarla, senza stimare però i danni ed i furti di materiali che il cantiere dell’infrastruttura ha subito negli anni ad opera di ignoti vandali. Nella località del Verduno una struttura costata ad oggi 159 milioni di euro di cui resta solo lo scheletro fatto di pilastri: sarebbe dovuto essere un ospedale tra Bra e Alba, in una zona però ad elevato rischio di franosità che fece porre fine prematuramente al cantiere. Si passa per Emilia, Veneto, e poi Toscana dove spicca lo svincolo della Cassia di Monteroni D'Arbia, un cantiere aperto quattro anni fa, costato al momento 30 milioni, ma ancora incompiuto e senza previsioni di termine.

Non solo grandi opere 

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La mano della mala edilizia però colpisce non solo a grande scala. Ad esempio nel  Lazio la lista comprende opere incompiute per un valore di ben 261 milioni di euro: dalla palestra di Vico al museo naturalistico di Palombara Sabina. Tuttavia è strano che, nonostante conti tantissime opere incompiute nell’elenco, la capitale non venga citata: basti ricordare la città dello sport di Tor Vergata costata oltre 400 milioni di euro e mai completata dopo un cantiere durato sette anni.

Per la regione Veneto che potrebbe apparentemente sembrare ligia alle leggi, si segnalano diversi flop edili e infrastrutturali pubblici, dall'ampliamento della scuola materna del Comune di Montecchio Maggiore, con un costo di 1,3 milioni di euro, alla piscina di Cassola per un importo di 18 milioni.

Della Sardegna, fra le sue opere incompiute, va certamente ricordato l'orto botanico della Maddalena, costato “appena” 520 mila euro: un’inezia se messo a confronto con le opere sprecate per il famoso G8 del 2009 sempre alla Maddalena.

La Regione Campania sembrerebbe la più virtuosa d'Italia con solo due piccole opere incomplete: un palazzetto dello sport e quattro alloggi popolari nel Comune di Calvi Risorta, ma sicuramente l’elenco, come abbiamo già ribadito, non è del tutto veritiero, tanto è vero che non è riporta neppure la città di Napoli.

Puglia, Calabria e Sicilia vengono bacchettate ma nell’elenco, anche nel loro caso, ci sono delle sviste fra le quali la diga del Pappadai (territorio di Fragagano, Taranto, San Marzano e Grottaglie), con ben 70 milioni di euro spesi in trent'anni e non una goccia d'acqua raccolta e poi ancora il teatro di Sciacca (un progetto di 40 anni fa) che fino ad oggi è costato 25 milioni di euro ma che risulta inutilizzato.

Una mappatura incompiuta per opere incompiute

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La procedura prevista dal Ministero nel 2013, per il monitoraggio, ha previsto che le Amministrazioni dovessero occuparsi di segnalare le opere edili e le infrastrutture incompiute sul proprio territorio. Nelle circolari inviate alle Regioni si legge quanto segue:

Il 24 aprile 2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 96 il Decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 42 del 13 marzo 2013, recante le modalità di redazione dell'elenco-anagrafe delle opere pubbliche incompiute, di cui all'art. 44-bis del Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214. L’art. 3, comma 1, del citato D.M. prevede che entro il 31 marzo di ogni anno le Stazioni Appaltanti, gli enti aggiudicatori e gli altri soggetti aggiudicatori trasmettano al Ministero ovvero alle Regioni e Province autonome tutte le informazioni e i dati richiesti secondo le modalità contemplate in seno alla stessa norma. La trasmissione da parte delle Amministrazioni dei dati relativi alle opere incompiute, dovrà avvenire attraverso le apposite procedure informatiche, quindi non tramite l’invio cartaceo dell’elenco delle opere incompiute, secondo le modalità indicate nel sito da trasmettere agli indirizzi PEC specificamente individuati dal MIT e dalle Regioni e Province autonome.

È evidente che la pecca non è del Ministero, che ha avuto tutte le buone intenzioni, ma dei ritardatari o di chi ha evitato di mandare le segnalazioni. La potremmo definire l'anagrafe incompiuta delle opere incompiute in Italia. 


Bioagriturismo: soggiorni di classe A

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A Cesiomaggiore, in provincia di Belluno, una vecchia e fatiscente casa di campagna in classe energetica G, per usare la dicitura ufficiale, anche se in realtà era molto più energivora da poter essere definita in classe Z, è stata ristrutturata e trasformata in agriturismo di classe A dai progettisti dello Studio Tecnotherm. La definizione non si riferisce solamente ai servizi assicurati agli ospiti, ma soprattutto al livello di prestazioni energetiche tanto che l’edificio si è guadagnato l’appellativo di Bioagriturismo.

EDIFICI IN CLASSE A: IL CASO DELLE RESIDENZE IN LEGNO A BOLOGNA

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IL PROGETTO DEL BIOAGRITURISMO

L’edificio del bioagriturismo, situato a fondo valle, è sovrastato dalle alte vette alpine innevate e si presenta come un'ordinaria struttura dalla pianta regolare con il tetto a doppio spiovente, il basamento in muratura e le pareti in legno massiccio. All’interno, distribuiti su tre livelli, trovano posto quattro camere da letto con i rispettivi bagni, una sala lettura, una sauna e un ristorante vegetariano e vegano.

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La struttura portante e la copertura sono in legno italiano multistrato. Ogni elemento dell’involucro è stato opportunamente coibentato e i nuovi infissi sono dotati di serramenti con vetro triplo. In questa zona, infatti, gli inverni sono molto freddi e le estati sono afose, quindi è necessario garantire un elevato grado di isolamento per assicurare un gradevole comfort degli ambienti abitati senza sprecare energia durante tutto l’anno.

L’impianto, che garantisce il riscaldamento, il raffrescamento e la produzione di acqua calda sanitaria, permette di avere un risparmio di energia primaria del 35%. Infatti, una pompa di calore ad aria permette di sfruttare sia l’energia solare indiretta presente nell’ambiente esterno sia l’energia prodotta dai pannelli fotovoltaici istallati sulla copertura senza combustioni e quindi senza generare emissioni di CO2 e di altri gas nocivi. Negli ambienti sono stati collocati una serie di ventilconvettori ultrasottili a installazione verticale o orizzontale a seconda delle esigenze. In questo modo è possibile riscaldare o raffreddare gli ambienti in maniera flessibile: l’impianto permette di isolare alcune stanze e non climatizzarle se non utilizzate.

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La ristrutturazione in Salento che ha il sapore della tradizione

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Nel centro storico di Patù (Lecce), piccolo paesino del Salento situato a pochi chilometri da Santa Maria di Leuca, una porzione di un palazzo del XVII secolo, trascurato e abbandonato da alcuni anni, è stata oggetto di ristrutturazione e trasformata in una doppia abitazione estiva: una per i proprietari e una per i loro ospiti. L’architetto Luca Zanaroli ha saputo trasformare e valorizzare gli ambienti dalla tipica volta a stella in pietra di tufo in cui ancora oggi si respirano il sapore della tradizione e il profumo di una vita genuina e lenta.

RISTRUTTURARE IN PUGLIA: LA TABACCHERIA DIVENTA B&B

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IL PROGETTO DELLA RISTRUTTURAZIONE

Al fine di soddisfare le esigenze della committenza e separare i percorsi sono stati creati due ingressi indipendenti: l’antico accesso principale dalla corte è stato mantenuto e conduce alla porzione di casa padronale, mentre il portone dell’antica scuderia introduce alla zona giorno dedicata agli ospiti. Dove un tempo c’erano cavalli, selle e briglie ora si trovano un comodo e fresco soggiorno e una cucina, dove il lavello e il piano di lavoro sono stati ricavati dal vecchio abbeveratoio e dalla mangiatoia dei cavalli. 

Gli ambienti voltati dagli alti soffitti sono stati intonacati e tinteggiati a calce al fine di rendere le stanze più luminose e una di esse è stata soppalcata per poter ricavare un bagno e un guardaroba. I pavimenti del palazzo salentino in cementine decorate risalenti agli inizi del secolo scorso sono stati recuperati e risistemati: per colmare le lacune è stata utilizzata una malta di calce e cemento con un colore simile a quello della pietra originale. Le vecchie “chianche”, elementi in pietra calcarea pugliese, che pavimentavano la scuderia sono state smontate, pulite e riposizionate.

Inoltre, uno spazio esterno, un tempo adibito a recinto per gli animali e in contatto diretto con l’attuale zona giorno, è stato trasformato in giardino. È stato così possibile creare una cucina e un soggiorno all’aperto: un piano di lavoro in muratura e una zona pavimentata identificano questa porzione di giardino divisa dall’area trattata a verde da una vasca in blocchi di tufo recuperata in un mercatino. 

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I risultati del concorso Food & Wellness club

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Sono stati più di 1300 i professionisti da oltre 80 Paesi di tutto il mondo ad accogliere la sfida lanciata da YAC (Young Architects Competitions) in collaborazione con Marlegno s.r.l. per la progettazione di Food & Wellness club, un centro benessere in prossimità di F.I.C.O., il grande parco alimentare che aprirà a Bologna nel 2016.

L’edificio, dedicato alla cura del corpo, la meditazione ed il benessere, mira ad essere un’eccellenza architettonica internazionale, un luogo sostenibile e strettamente legato al tema del parco in cui si inserisce.

A decretare i progetti vincitori, tra i 276 presentati, una giuria composta da professionisti di rilievo internazionale come gli architetti Nicola Scaranaro (collaboratore di Foster + Partners dal 2005), Italo Rota (designer degli spazi interni del Musée d’Orsay) ed Edoardo Miles (esperto in materia di tutela paesistico ambientale), il professore Donald Bates (recentemente designato quale giurato per il premio Holcim Awards for Sustainable Construction), gli architetti Andrea Zamboni e Pier Giorgio Giannelli e l’ingegnere Angelo Luigi Marchetti.

Il montepremi, per un totale di 15 mila euro, di cui 8 mila per il primo classificato, è stato assegnato ai team che hanno saputo interpretare al meglio il tema proposto e ideato edifici in cui la luce, la sostenibilità, la cura della persona e l’esperienza sensoriale vissuta dal visitatore giocano un ruolo chiave.

I PROGETTI SUL PODIO

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Ad aggiudicarsi il primo premio del concorso Food & Wellness Club è stato il team VSC che, guidato dalla citazione di Nietzsche “There is more reason in your body than in your best wisdom”, ha esaltato l’interazione dell’edificio con la luce, elemento in grado di plasmare gli spazi e contribuire al benessere psico-fisico dei visitatori.

Al secondo posto si colloca il team ArchiStuff (prima immagine in alto) che rivisita il tipico design delle industrie produttive anni Settanta proponendo un gioco di volumi sospesi su un piano dedicato alle piscine, giochi d’acqua multi-sensoriali e docce aromatiche.

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Two Worlds è il progetto del team Floràn che si aggiudica il terzo premio per aver saputo interpretare, sviluppare e rendere evidente la tensione tra urbano e suburbano, agricolo e industriale.

LE MENZIONI

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Al contrario del team vincitore del terzo posto, il gruppo ODD Studio, a cui è andata la menzione Gold ha preferito ridurre il contrasto tra esterno ed interno, artificiale e naturale e proporre un edificio quasi evanescente, senza confini netti.

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L’altra menzione Gold va al gruppo MD2, che ha reso l’esperienza sensoriale dei visitatori il cuore del progetto. L’edificio è arricchito con materiali che evocano sensazioni percettive diverse (caldo, freddo, ruvido, compatto…) e conducono in un vero e proprio viaggio sensoriale, alla ricerca di se stessi.

Le altre menzioni d’onore vanno ai team: Fiore, A+B+C+M, ACD Studio, AI Studio, QuadratoBlu, Acqua_Terra, CTRL Studio, Bodega&Piedrafita, MP+RV, FPMG, con partecipanti da Austria, Grecia, Irlanda, Italia, Russia, Siria e Uruguay.

Ad aderire al concorso non solo progettisti e studenti, ma anche istituzioni accademiche e realtà imprenditoriali consolidate hanno patrocinato l’iniziativa: Università di Bologna Alma Mater Studiorum – Sede di Cesena, Universidad Nacional del Litoral di Santa Fe, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale dell’Università di Roma La Sapienza, Università di Melbourne, LAB Architecture Studio, Studio Italo Rota, Foster + Partners, l’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti Conservatori della Provincia di Verona, ArchitettiBologna, l’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Bergamo, Forum P.A., Unindustria Bologna.

Cultura e innovazione al nuovo Waterfront di Venezia

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Le iniziative parallele portate dalla grande macchina Expo Milano 2015 hanno dato una bella spinta al progetto previsto per Marghera, che già da tempo era nel cassetto dell’amministrazione veneziana. L’esigenza di ridare un’identità al waterfront lagunare era da tempo sentita anche dal punto di vista morale e di riscatto di un’area in forte degrado che non è mai stata in grado di vestire al meglio il ruolo chiave che essa ha nei rapporti con Venezia.

PORTO MARGHERA E IL VEGA PARK PER RIQUALIFICARE IL WATERFRONT

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CHE COS’È IL VENICE WATERFRONT?

Il vasto progetto di rigenerazione urbana prevede il recupero dell’ex area industriale di Porto Marghera, nell’ottica di promuovere uno sviluppo più attento ai temi della sostenibilità e trasformare la non più comoda appendice industriale in un polmone nuovo capace di dare respiro ad una Venezia storica che rimane sempre più schiacciata dal peso dell’età, ma che è ancora capace di attrarre culturalmente tutto il mondo.

L’idea non è promuovere un progetto statico che si concluderà con la fine di Expo Milano 2015, ma mettere in moto una macchina capace di creare occasioni per un rilancio continuo che guarda ai prossimi vent’anni. Il lancio del progetto con la costruzione del padiglione collaterale “Aquae” è solo il punto di partenza al quale seguiranno delle fasi successive che nei prossimi cinque anni dovrebbero portare allo sviluppo di una serie di servizi a supporto dell’area.

Il tema chiave voluto fortemente dall’architetto Michele De Lucchi e dal paesaggista Andreas Kipar, progettisti dell’intervento, è basato su una “Green Tree Strategy” per la quale l’intervento rappresenta la chioma vitale di quell’albero che affonda nella città storica le proprie radici.

PADIGLIONE AQUAE

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Punto di partenza di questo processo è il padiglione polifunzionale “Aquae” che rappresenta il rilancio dell’area industriale con le eccellenze della ricerca e delle imprese, e la volontà di sottolineare l’importanza che il così detto oro blu ha per Venezia e per il resto del mondo, sia da un punto di vista concreto sia concettuale. L’idea è di creare un polo attrattivo culturale che possa diventare il punto di partenza di un processo che non si concluderà con l’Expo, ma che sarà capace di affermarsi con forza sul territorio.

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Il progetto di Venezia per l’Expo 2015 prova a reinventare l’idea di città tradizionale e lo fa in un’ottica che guarda alla sostenibilità attraverso la rigenerazione urbana ed il rilancio del territorio anche da un punto di vista culturale. Il padiglione, in questo contesto, diventa il catalizzatore di un’area nuova che ha voglia di cambiare e crescere, e che non rimane indifferente ai temi globali. Sicuramente un’opportunità che va sfruttata per tutto quello che mette in gioco, ma anche un’esperienza artistica capace di generare sensazioni e risvegliare la sensibilità umana davanti ai temi della sostenibilità e dello sfruttamento delle risorse, per provare a riscoprire un’attenzione in più su ciò che ci circonda. 

Unicredit Pavilion: una struttura leggera in larice nel centro di Milano

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All’interno del nuovo quartiere Garibaldi-Porta Nuova, protagonista in questi anni di un vasto intervento di riqualificazione urbana ed architettonica, proprio in mezzo ai moderni palazzi Unicredit, ci si imbatte in un’architettura in grado di connettere piazza Gae Aulenti, il parco e le torri che lo circondano: è il nuovo Unicredit Pavilion, firmato dal Maestro Michele De Lucchi.

MILANO ED EXPO 2015: LA FORESTA DEL PADIGLIONE AUSTRIACO

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Concepito come un luogo di relazione e di cultura, il padiglione vuole essere uno spazio polifunzionale in grado di ospitare mostre, eventi e conferenze; un centro dove dialogo e condivisione diventano l’obiettivo delle iniziative che qui verranno organizzate. Serate, concerti e meetings, inoltre, potranno avere luogo contemporaneamente, grazie alla sapiente progettazione degli ambienti interni.

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“Si capisce subito che non è ne un condominio nè un edificio da uffici e si memorizza con la forza emozionale di un monumento, un simbolo tra la natura del parco e gli uomini dei grattacieli” (M. De Lucchi)

Scambi ed incontri aperti alla comunità che, secondo il progettista, “vengono generati da un seme che contiene il cuore della vita  e che cade sulla terra per poter radicarsi, crescere e vegetare;  un seme che è oggi un edificio di legno, al bordo di un grande parco cittadino.”  Affacciato verso le torri in vetro che lo circondano, il padiglione è sinonimo di sostenibilità e sensibilità verso la natura e l’ambiente; si presenta come un’architettura all’avanguardia contraddistinta da innovative soluzioni tecnico-costruttive attente alla valorizzazione delle risorse naturali ed al risparmio energetico.

Un seme, appunto, reso immediatamente riconoscibile grazie ad una leggera struttura in legno di larice arricchita dalla luminosità del vetro, che si integrano perfettamente generando così un’atmosfera armoniosa ed accogliente; un volume architettonico arrotondato che si pone in contrasto (ma anche perfettamente in sintonia) con le linee rigorose degli edifici circostanti. 

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Il padiglione si erge su tre livelli: al piano terra, innanzitutto, si trova un ampio auditorium che potrà accogliere fino a 700 posti, grazie alla versatilità dell’aula modulabile, che potrà essere suddivisa in ambienti più piccoli.

Percorrendo una scala elicoidale che nasce proprio dall’auditorium, si accede poi alla Passerella dell’Arte, dedicata alle esposizioni artistiche ed alle mostre temporanee; un percorso flessibile che potrà essere adoperato a supporto di altre attività ospitate all’interno della struttura attraverso la creazione di narrazioni visuali ed interattive.

Proseguendo verso il secondo livello, si giunge al Mini Tree, un nido d’infanzia a servizio dei dipendenti e non solo, che ospiterà fino a 60 bambini dai 3 ai 36 mesi; mentre al terzo piano è collocata la Greenhouse, un suggestivo open-space destinato ad accogliere conferenze ed eventi di business e caratterizzato da due “ali” apribili lunghe 12 metri e dotate di maxischermi, i quali permetteranno ai visitatori di seguire gli incontri anche dall’esterno.

Inaugurato pochi giorni fa, la serata inaugurativa del 28 Luglio ha dato inizio ad una lunga serie di eventi che proseguiranno anche dopo i mesi estivi e che vedranno la partecipazione di protagonisti nazionali ed internazionali.

Il padiglione dell'Estonia ad Expo 2015: "Gallery of"

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Il nome del progetto dello studio Kadarik Tüür Arhitektid – gruppo estone con sede a Tallinn – per il padiglione dell’Estonia a Expo Milano 2015 è la chiara sintesi della natura della costruzione così come la dinamicità e creatività del popolo nordeuropeo si riflette perfettamente nella flessibilità e multifunzionalità dello spazio progettato.

L’edificio, con una superficie di circa 1200 metri quadrati, non è un contenitore statico ma fa da cornice alla vita che si svolge al suo interno: l’architettura è stata pensata in modo da adattarsi alle diverse esigenze di mostre, rappresentazioni e concerti.

EXPO 2015: IL PADIGLIONE DEL BRASILE IN SUGHERO

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All’interno della galleria dell'Estonia si fondono elementi tradizionali e rivoluzioni high-tech rappresentativi dei caratteri tipici del popolo baltico e del proprio territorio naturale incontaminato che si uniscono con l’innovazione tecnologica del paese, definita dalla BBC come la ”Next Silicon Valley”. Il padiglione ospita più di trenta aziende e la sua permeabilità, ovvero il continuum spaziale tra l’interno e lo spazio aperto esterno, rappresentano l’apertura e la trasparenza al livello economico e commerciale del paese nei confronti del visitatore e, quindi, del mondo e delle dinamiche globali.

LA STRUTTURA DEL PADIGLIONE ESTONE

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L’edificio è facilmente comprensibile sul piano compositivo e costruttivo. La struttura è composta da cinquantadue box modulari e impilabili in legno lamellare, alternati ritmicamente a spazi aperti: l’alternanza dei pieni e dei vuoti è così assimilabile al disegno di una scacchiera. Il design delle scatole è variabile in modo da poter creare molteplici moduli adattabili alle diverse funzioni: c’è un modulo altalena, un modulo per le presentazioni su schermi LED, moduli con pareti mobili per le mostre e moduli appositi per la sala conferenze e meeting. Questo sistema è stato scelto sia per la semplicità di costruzione e di smontaggio al termine della manifestazione che per la flessibilità degli spazi interni, così come la monomatericità del padiglione è intesa come fondale neutro per tutti gli eventi ospitati e per le diverse immagini proiettate dagli schermi a LED installati.

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L'ORGANIZZAZIONE INTERNA

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Al piano terra, ai lati di un ampio open space flessibile che ospita gli eventi più disparati, oltre all’alternanza ritmica di box espositivi e dei tradizionali kiik, troviamo un punto informazioni, un ristorante che propone street food tradizionale e un negozio di souvenir.

Per mezzo della scala centrale si raggiunge il primo piano, che ospita uno spazio espositivo in cui vengono esaltate le punte di diamante della produzione estone – imprese innovative, soluzioni di e-State, turismo rurale e imprese green, elementi del settore creativo e delle belle arti – oltre a un ulteriore bar tematico, dedicato ai prodotti tipici della nazione baltica a base di segale, dal pane alla birra e ai distillati.

Al secondo piano viene invece messo in evidenza il grande rapporto dell’Estonia con la natura. Qui è riprodotto un piccolo bosco con le specie arboree più tipiche del paese – le betulle – animato dal suono del canto degli uccelli: le registrazioni vengono attivate grazie a delle fotocellule e il volume si alza in base a quanti più visitatori vengono percepiti dai sensori. Una serie di schermi trasmettono live la vita degli uccelli estoni e, più in generale, di alcuni animali presenti sul territorio nazionale, filmati attraverso telecamere nascoste.

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SOSTENIBILITÀ E RISPARMIO ENERGETICO

Così come molti altri stati in Expo Milano 2015, anche l’Estonia ha scelto il legno come materiale dominante della costruzione, utilizzando le sue caratteristiche come espressione della sostenibilità e dello stretto vincolo tra società e natura.

L’impianto di illuminazione, che regola automaticamente le lampade in base alla variazione delle condizioni di luce naturale esterna, sottolinea l’attenzione al risparmio energetico. Uno degli elementi più interessanti del padiglione, da questo punto di vista, è costituito dal tradizionale kiiking, sport di cui gli estoni sono inventori: per mezzo dei kiik, delle altalene, anche biposto, inserite nei vuoti lasciati dalla struttura e collegate a dei generatori, i visitatori sono in grado di convertire l’energia cinetica dell’oscillazione dei dondoli in energia elettrica, auto-producendo così energia. Superate le cinque oscillazioni infatti, il sistema alimenta dei caricatori per cellulare messi a disposizione degli utenti, mentre delle macchine fotografiche immortalano il kiiker ignaro, quando meno se lo aspetta: al momento di abbandonare l’altalena il visitatore può ritirare la propria fotografia, stampata assieme ai dati sulla quantità di energia prodotta con le oscillazioni, in modo da comprendere quanta energia sia necessaria per le comuni azioni quotidiane.

TECNOLOGIA

L’avanzata produzione tecnologica del paese baltico non poteva non caratterizzare il padiglione estone con tecnologie e software innovativi: una grande quantità di schermi a LED rivestono le pareti delle stanze, soffitto compreso, proiettando scene in live streaming direttamente dall’Estonia – addirittura dalle cucine di un ristorante noto in tutto il mondo. All’interno del padiglione, una rete wi-fi libera e una serie di supporti predisposti permetteranno agli ospiti di condividere immagini e comunicare via Skype, software diffusissimo sviluppato da un gruppo di giovani estoni.

Il padiglione della Spagna ad Expo 2015

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Un'enorme serra a doppia navata è il progetto dello studio B720 Fermín Vázquez Arquitectos, di Barcelona, per il padiglione della Spagna ad Expo Milano 2015: l’ente promotore e coordinatore dello spazio, di circa 2500 metri quadrati, è Acción Cultural Española (AC-E) che si occupa della partecipazione della Spagna alle Esposizioni Universali e ai grandi eventi globali. Partendo dal tema dell’esposizione “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”, la doppia anima della struttura rappresenta il dualismo tra cucina tradizionale spagnola e gastronomia innovativa, cogliendo perfettamente l’occasione offerta dall’Expo per avvicinare il pubblico all’immenso patrimonio culinario e culturale spagnolo. L’equilibrio tra creatività/innovazione e tradizione è una delle chiavi del successo dell’arte culinaria spagnola, così come l’uso di agricoltura e allevamento sostenibile per la conservazione del paesaggio e per lo sviluppo di modelli di turismo alternativo.

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IL PROGETTO DEL PADIGLIONE DELLA SPAGNA

Queste due anime contrapposte sono rappresentate da due strutture assimilabili ma con trattamenti materici ben distinti, simbolo dell’incontro tra “vecchio” e “nuovo”: la gastronomia tradizionale è rappresentata da una galleria in legno dalla quale si distaccano una serie di spazi esterni, in cui vengono utilizzati materiali non consueti come tappi per vino o botti in rovere e ceste di vimini riutilizzate da un precedente impiego nella produzione dell’olio d’oliva; l’innovazione gastronomica è invece rappresentata da uno spazio racchiuso in una seconda struttura in acciaio con pareti intonacate colorate.

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La forma riprende gli hórreo – tipiche costruzioni in cui si conservavano i frutti del campo, in particolare il grano – che possono trovarsi in Galizia, regione nord-occidentale della Spagna, o l’archetipo delle tradizionali abitazioni dell’Almeria, a sud. Gli spazi delle due serre, dotati di grande fascino e flessibilità, sono affiancati da un tipico porticato della tradizione iberica, che ospita una gran quantità di alberi di arancio, uno dei numerosi simboli della cultura spagnola qui esposti: all’interno vengono presentati al visitatore i cardini della produzione enogastronomica spagnola, ponendo l’accento sulle eccellenze in fatto di qualità, sicurezza e sostenibilità dei prodotti.

Le esposizioni all’interno del padiglione spagnolo sono differenziate tra i due piani. Al piano terra il visitatore potrà esplorare un’installazione realizzata dall’artista catalano Antoni Miralda intitolata “Il Viaggio del Cibo”: una serie di valigie di diverse dimensioni proiettano nomi dei cibi tradizionali della cultura spagnola – baccalà, patate, pomodori – mentre sul pavimento vengono proiettate parole legate all’esperienza del mangiare.

Proseguendo la visita si accede ad una sala semibuia che ospita sulle pareti una serie di schermi che mostrano video, immagini e informazioni sulle tecniche e tipologie di coltivazione oltre alle proposte sostenibili offerte dalla Spagna come soluzione alla scarsa disponibilità di risorse e cibo: in questa sala l’attrazione principale è un vetro satinato su cui scorre dell’acqua e che viene illuminato con effetti di luce variabili e sul quale compaiono parole che vengono “lavate” via dall’acqua.

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Più avanti si accede in un’altra sala che senza dubbio è quella con il maggiore impatto visivo: un ampio spazio vuoto con le pareti ricoperte da migliaia di piatti rotondi su cui vengono proiettate immagini di fantastici paesaggi iberici e cibi tradizionali. Al piano superiore, una seconda mostra denominata “Il Linguaggio del Sapore” è un viaggio all’interno della mente di un cuoco spagnolo, con la volontà di trasmettere al visitatore la sua arte culinaria e le ricette gastronomiche migliori. Oltre alle due esposizioni, il padiglione ospiterà una serie di spazi pubblici tra cui un ristorante, un “bar de tapas”, una piazza pubblica ed uno spazio polifunzionale che ospiterà workshop, cooking class, conferenze e concerti, un orto didattico e una serie di giardini idroponici.

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La sostenibilità del padiglione

Il padiglione, come già specificato in precedenza, è dedicato ai cibi e ai sapori della terra spagnola caratterizzata da terreni esposti costantemente a un sole intenso e perciò spesso aridi e improduttivi, che i sapienti agricoltori ispanici hanno però saputo trasformare in giardini verdi e fertili. La sostenibilità e l’alta efficienza energetica-ambientale sono stati obiettivi primari anche del progettista stesso: è di facile comprensione la volontà di trasmettere una sensazione di moderazione e di gestione delle risorse, considerando il presente periodo storico di crisi globale, a differenza della volontà di stupire il visitatore che ha caratterizzato le precedenti versioni del padiglione spagnolo alle esposizioni universali

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Gran parte della struttura è caratterizzata da spazi semi aperti e da una copertura costituita da ampie lamelle vetrate mobili, che hanno la capacità di facilitare la ventilazione naturale lasciando uscire il calore dall’alto per effetto-camino. Forma e dimensione dei portici – che riprendono una lunga tradizione iberica – sono anch’essi pensati in posizione strategica, in modo da limitare il surriscaldamento, sempre mirando al risparmio energetico. L’edificio è realizzato con materiali riciclati o naturali ed è stato costruito interamente a secco: il legno di abete e di pino impiegato proviene da foreste certificate e tutte le componenti del padiglione possono essere riutilizzate in seguito allo smontaggio.


Casa semi-ipogea a Marostica

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Nel comune di Marostica (VI), addossata al crinale della collina, sorge un’abitazione dall’aspetto non convenzionale. A un primo rapido sguardo il manufatto non sembra una casa, ma un muro di contenimento per il terreno scosceso. Infatti, il progetto semi-ipogeo dell’architetto Dario Scanavacca prende vita dalla rielaborazione del tema della “masiera”, il tipico muretto a secco per terrazzamenti di questa zona montana, in modo da creare una sinergia tra il contesto, il rispetto della tradizione e l’evoluzione tecnologica.

CASE IPOGEE: COME E PERCHÈ

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IL PROGETTO DELLA CASA SEMI IPOGEA

La casa cerca di sfruttare al meglio le potenzialità del lotto fortemente inclinato esposto a Sud. La costruzione risulta semi-ipogea e i tre livelli, su cui sono distribuite la zona giorno e la zona notte, sono sfalsati in modo da creare una serie di giardini pensili.  In questo modo, la collina, che accoglie la casa, contribuisce, durante tutte le stagioni, al mantenimento del comfort ambientale interno: durante i mesi invernali le dispersioni sono ridotte e l’unico fronte esposto a Sud cattura il calore del sole, mentre durante l’estate il terreno e i tetti giardino non assorbono calore e contribuiscono a non surriscaldare gli spazi abitati. Inoltre, sono stati installati sia pannelli fotovoltaici sia pannelli solari: l’energia elettrica totale prodotta è pari a 6,0 kWp, mentre un accumulatore permette di stoccare 600 litri di acqua calda utilizzabile sia per usi domestici sia per il riscaldamento. 

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Grandi aperture vetrate protette da frangisole caratterizzano l’unico prospetto della casa aperto verso la vallata in prossimità del quale sono stati posizionati il soggiorno, la cucina e le camere, mentre gli ambienti di servizio e i collegamenti verticali sono stati collocati nella parte ipogea areata e illuminata da alcuni lucernari. Il risultato così ottenuto è un muro “abitato”.

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Eco villaggio in Sardegna: materiali e cibi bio. Bannati fumo e smartphones

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Sardinna Antiga è un bio-villaggio ecosostenibile situato sulla costa nord-orientale della Sardegna, in una vallata solitaria, tra la campagna e il mare di Santa Lucia di Siniscola, in località Sa Petra e S’Ape. Stupefacente esempio di albergo diffuso, recupera un antico villaggio abbandonato dagli anni ’40, trasformandolo in un posto accogliente e rilassante, dove gustare cibo biologico e sono banditi smartphone e sigarette.

ARCHITETTURA TRADIZIONALE DELLA SARDEGNA: LE BARACCAS

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LA STORIA DELL'ECO VILLAGGIO

Successivamente all’acquisto del terreno, durante le operazioni di pulizia, i proprietari di Sardinna Antiga hanno rinvenuto all’interno di cespugli e piante arbustive, diversi muretti a secco circolari, con all’interno dei tronchi d’albero disposti a raggiera. Pulendo a fondo ed estirpando le erbacce hanno iniziato a comprendere che forse quel che avevano trovato durante le operazioni di pulizia non erano dei semplici recinti, ma un vero e proprio villaggio di pastori, abitato fino agli anni Quaranta e in seguito abbandonato.
Con l’aiuto degli organi territoriali del MiBACT e la memoria storica e le testimonianze degli anziani, si è così iniziato a ricostruire questo antico villaggio, fino ad arrivare ad un vero e proprio ripristino tipologico.

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LE COSTRUZIONI TIPICHE SARDE

Il villaggio di “pinnattoso” (plurale di “pinnattu” in dialetto locale) che era abitato fino a circa settanta anni fa viene così recuperato, rispettando la collocazione originale delle costruzioni e riscoprendo la tradizione e la cultura locale: le tecniche ecosostenibili artigianali tradizionali vengono integrate alle tecniche moderne – per la soddisfazione dei requisiti della normativa vigente – adoperando materiali, assolutamente naturali e reperiti in loco, reimpiegando anche quelli utilizzati dagli antichi abitanti. 

Le sue abitazioni uniche si rifanno per forma e materiali utilizzati all’architettura vernacolare delle capanne nuragiche: queste antiche costruzioni pastorali, tipiche della Sardegna centro-orientale, sono costruite con la base, che può essere circolare o rettangolare, in pietra a secco e la copertura in rami di legno, canne e frasche. Tradizionalmente venivano utilizzate in terre selvagge o poco accessibili per il pernottamento o per il deposito di vivande o materiali utili all’allevamento del bestiame.

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Le capanne non hanno fondazioni ed il terreno su cui insiste la struttura, essenzialmente semplice, è stato spianato con strumenti tradizionali. Dal punto di vista strutturale, gli edifici sono sostenuti da pilastri e travi realizzati con tronchi e rami d’albero non lavorati. I pilastri di circa 15 cm di diametro, sono infissi nel terreno e disposti circolarmente ad una distanza di circa 150 cm: ogni pilastro è collegato al successivo mediante tavole in legno, in modo da renderli collaboranti nell’assorbimento del peso della copertura. Da ognuno di essi, alto circa 150 cm, parte una trave, con una sezione media di 10 cm e una pendenza di circa il 60% (circa 30°): tutte le travi confluiscono in un tronco d’albero che funge da chiave di volta e permette alla copertura di non collassare.

A rivestimento esterno della struttura è stato poi ricomposto il muro a secco di pietra, con uno spessore medio di 40 cm, che collabora dal punto di vista statico con il sistema travi-pilastri. Le travi sono unite da canne, che diventano un vero e proprio rivestimento interno mentre all’esterno è posto uno strato di tavolato, lasciando un’intercapedine per la ventilazione di spessore variabile. Sopra il tavolato viene disposto un telo impermeabile, sul quale vengono poggiate ulteriori canne e paglia come rivestimento esterno. Il rivestimento interno è anch’esso composto da uno strato di canne su cui viene spruzzato un intonaco di terra cruda. La pavimentazione, in tavole di legno è sopraelevata rispetto a un sistema di areazione sottopavimento che poggia direttamente sul terreno roccioso del villaggio.

CRITERI BIOCLIMATICI E RISPARMIO DELLE RISORSE

Nonostante gli alloggi siano privi di impianti di climatizzazione e il clima sia estremamente caldo nel periodo estivo, la temperatura all’interno degli alloggi rimane vicina alle condizioni di comfort: a ciò contribuiscono l’elevata inerzia termica relativa alla massa del muro in pietra, la ventilazione della copertura e del pavimento oltre a quella garantita dall’effetto camino dovuto sia alla forma della copertura che a una certa permeabilità delle frontiere perimetrali.

Le aperture, di metratura minima in rispetto dei canoni originali, disposte in posizioni diametralmente opposte garantiscono una buona ventilazione incrociata: l’apporto di luce e il ricambio d’aria sono garantiti inoltre dalla porta di ingresso. Il villaggio sfrutta un sistema di fitodepurazione per recuperare buona parte delle acque utilizzate per gli scarichi e in modo da eliminare la necessità di realizzare il sistema di fognature che per essere condotto fino a questo luogo, piuttosto isolato, sarebbe stato economicamente poco sostenibile avrebbe deturpato il territorio.

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Con la rigenerazione, l’ambiente circostante è stato lasciato intatto e sono state piantumate circa 4000 piante. Il villaggio è circondato da un laghetto e da 7 ettari di macchia mediterranea: un vigneto bio, un oliveto bio, un orto bio e uno sinergico procurano gran parte delle materie prime necessarie. Le abitazioni vengono fornite quotidianamente di acqua di fonte servita in anfore di terracotta, di cibi, di prodotti per la cura del corpo prodotti da un’azienda locale, di un emanatore di essenze per l’aromaterapia e di una lampada al sale: il tutto rigorosamente di origine biologica o locale. Gli arredi interni sono totalmente fatti a mano con materiali di risulta, principalmente legno e gli unici arredi non riutilizzati sono i sanitari.

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Ogni cosa è prodotta artigianalmente: persino la biancheria è tessuta utilizzando filati naturali e trame preziose, arricchite da disegni eseguiti sull’impronta di quelli arcaici, tinti con colori essenziali e derivanti da erbe. All’interno del villaggio è bandito il fumo mentre l’uso di smartphone, tablet e pc è vietato negli spazi comuni. La sensazione è quella di essere tornati indietro nel tempo di qualche secolo: il silenzio surreale del luogo è spezzato solo dai rumori della natura, dal canto degli uccelli e dai versi degli animali selvatici, mentre la sera, solo le stelle e la luna illuminano l’intera vallata.

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