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Channel: Bioedilizia in Italia: progetti italiani di architetture ecosostenibili
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Strutture in disuso: esempi virtuosi di recupero

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In un’ottica di sostenibilità, o più semplicemente da un punto di vista etico, il recupero degli edifici è uno degli approcci più convenienti e logici, eppure ogni giorno siamo testimoni di quanto patrimonio storico sia abbandonato o non adeguatamente sfruttato nelle città e nei paesi in cui viviamo. Si nota in linea generale un atteggiamento di totale disinteresse rispetto ad edifici (storici e non) spesso fatiscenti o mai completati; completati e mai utilizzati o più frequentemente in disuso, abbandonati e bersaglio facile per i vandali.

Nonostante ciò crescono a dismisura le gare d’appalto per costruire nuovi complessi residenziali, strutture sportive o industriali: nuovi edifici spuntano come funghi da un giorno all’altro, senza mai considerare che un edificio da restaurare o rifunzionalizzare possa essere decisamente più vantaggioso. Certo, non in tutti i casi il discorso convenienza è applicabile, ma poter usufruire anche solo di una parte di questo patrimonio sarebbe comunque un grande traguardo ed un miglioramento che andrebbe a discapito di un’incontrollata lottizzazione di aree naturali incontaminate.

IL RECUPERO DI EDIFICI DISMESSI: ADOTTA UNA STAZIONE

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Vi sono però alcuni casi esemplari, che dimostrano come un corretto approccio progettuale possa rendere vantaggioso il recupero di strutture in disuso o mai completate.

EX FABBRICA DAMIANI A NAPOLI

In questo caso un ex complesso industriale, in zona Ponti Rossi a Napoli, è stato convertito in un complesso residenziale di grandi dimensioni, comprendente diverse tipologie abitative tra cui duplex, triplex e piccole aree verdi.

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È stata così recuperata un’area urbana in disuso, permettendo una sua rivitalizzazione, riqualificazione e valorizzando contemporaneamente l’intera zona.

Gli edifici ed il loro stato di conservazione infatti, inficiano sulla vivibilità e sulla percezione che gli abitanti hanno del luogo in cui vivono, più di quanto ci si possa immaginare: basti pensare alle innumerevoli proteste relative alla presenza di complessi industriali abbandonati ed ecomostri in zone paesaggistiche sensibili, che danneggiano il valore naturalistico delle aree stesse.

COMPLESSO PALAZZO ROCCA-SAPORITI A REGGIO EMILIA

Esempio ancor più emblematico di quanto sia importante sfruttare il grande patrimonio edilizio a nostra disposizione è il complesso Palazzo Rocca-Saporiti a Reggio Emilia, complesso dal notevole valore storico e culturale. Il progetto di riuso ha previsto la conversione di vecchi spazi per ottenere una vasta gamma di funzioni e servizi: studi ed uffici, aree per lo studio, ma soprattutto la biblioteca ed emeroteca scientifica, oltre ad altri servizi tecnologici.

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In questo caso non solo si è recuperato un edificio storico dal valore fortemente identitario, ma si è ottenuto un importante servizio per la città, donando nuova vita ad un vecchio edificio e fornendo un importante esempio di come un rispettoso approccio in chiave di restauro/riuso possa modernizzare, senza snaturare, un complesso antico che non avrebbe mai potuto fornire un apporto così importante alla città in condizioni di abbandono. Altra nota positiva è la presenza di una grande area verde che circonda il Palazzo, ulteriormente valorizzata ed utilizzabile.

Questi sono solo due casi e vi sono sicuramente esempi più significativi ed esemplari, ma l’insegnamento che si può trarre è che è possibile valorizzare e rivitalizzare non solo un edificio, ma un’intera area urbana, creando possibilità di lavoro, fornendo importanti servizi o nuovi complessi abitativi in zone ormai sature, senza dover occupare ulteriormente aree urbane o di interesse naturalistico, ottenendo al contempo notevoli vantaggi sotto tutti i punti di vista.


Ristrutturazione di un antico rifugio. Nasce Casera Gianin

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Lungo la strada forestale che collega Coi, piccolo paesino abbarbicato sulle Dolomiti bellunesi in val Zoldana, ai pascoli di alta quota sulle pendici del monte Pelmo è situata la “Casera Gianin”. In origine era un semplice ricovero per pastori come ce ne sono tanti nella zona abbandonati da anni, oggi è un bivacco. Lo studio di architettura Clinicaurbana ha curato la ristrutturazione dell’edificio mantenendo la struttura e i materiali originari.

IL RECUPERO DEL RIFUGIO DI EL BOSQUET IN SPAGNA

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IL PROGETTO DI CASERA GIANIN

Il volume dell’edificio è costituito da un modesto parallelepipedo addossato al pendio della montagna con una copertura a doppio spiovente per agevolare lo scivolamento della neve ed evitare il sovraccarico della struttura del tetto dato che queste zone sono soggette a nevicate copiose. Gli spazi interni si articolano su due livelli: il piano terra è in pietra e ospita in un unico ambiente la zona giorno, mentre il primo piano è in legno e accoglie la zona notte.

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La prima questione affrontata dai progettisti in questa ristrutturazione è stata quella relativa ai problemi d’infiltrazione dell’acqua sia dal sottosuolo e dal terreno su cui si appoggia un lato del bivacco, sia dal tetto. Un vespaio in ghiaia grossa è stato realizzato per separare il piano di calpestio del piano terra dal suolo e uno scavo per il drenaggio è stato creato a ridosso della parte limitrofa al terreno. Il manto di copertura in lamiera, che aveva sostituito quello originale e che era ammalorato, è stato ripristinato con uno in scandole di larice tipiche della zona.

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Gli interni sono semplici ed essenziali e i materiali utilizzati sono legno non trattato e pietra. Un enorme focolare posto al centro della stanza al piano terra garantisce il riscaldamento dell’intero bivacco e offre anche la possibilità di cucinare pasti caldi. L’isolamento termico del primo piano è stato realizzato attraverso la posa in opera contro i muri in legno esistenti di lana di roccia rivestita in doghe di larice.

Klimahaus 2015: riapre a Bolzano la fiera dell’edilizia sostenibile

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È stata presentata il 20 Gennaio a Milano la nuova edizione della fiera Klimahaus di Bolzano, in programma dal 29 Gennaio al 1 Febbraio. L’appuntamento annuale è ormai diventato punto di riferimento a livello europeo in tema di edilizia sostenibile, efficienza e risparmio energetico. Le aziende altoatesine hanno infatti raggiunto livelli molto elevati di specializzazione in questo campo, diventando leader nel settore delle costruzioni.

KLIMAHAUS E IL PROTOCOLLO CASACLIMA “R”

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Ha presentato l’evento il direttore di FieraBolzano unitamente all’ing. Norbert Klammsteiner dello studio Energytech, specializzato in realizzazione di impianti e l’ing. Antonio Albo, direttore tecnico di LegnoLegno, consorzio nazionale dei serramentisti.

Queste due figure professionali sono emblematiche dei due filoni espositivi presenti in fiera: da un lato l’esposizione riguardante i prodotti e le tecniche innovative per l’involucro edilizio e dall’altro la presentazione delle tecnologie impiantistiche.

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KLIMAHAUS EDIZIONE 2015

L’edizione Klimahaus 2015 presenta, così come le precedenti, le eccellenze italiane e straniere nel campo della realizzazione di edifici ad alta efficienza energetica.

L’esposizione è divisa, all’interno del tema “Costruzione di edifici” nei seguenti settori:

  • Finestre termoisolanti
  • Porte e portoni termoisolanti
  • Isolamento termico
  • Elementi per prefabbricati
  • Coperture e tetti
  • Strutture verticali e orizzontali
  • Risanamento
  • Facciate ventilate

La tematica generale “Tecnologia dell’edificio” presenta invece questi settori:

  • Riscaldamento, ventilazione e raffreddamento
  • Energie rinnovabili
  • Sistemi di regolazione e misurazione

Eventi collaterali all’esposizione sono convegni, giornate di formazione, organizzazione di consulenze energetiche ai progettisti interessati e “Enertour”, ovvero visite guidate a edifici a diversa destinazione funzionale certificati in classe A o superiori dall’Agenzia CasaClima e che presentino aspetti interessanti ed emblematici per lo studio dell’efficienza energetica.

Al centro dell’attenzione è il convegno di due giornate, organizzato in collaborazione con l’Agenzia CasaClima dal titolo “Costruire con intelligenza”.

Parteciperanno all’evento grandi nomi dell’architettura internazionale come Mario Cucinella, che aprirà il congresso con un intervento dal titolo “Architettura sostenibile: un cambiamento rivoluzionario” e il dr.Wolfgang Feist, direttore del Passiv Haus Institut, conosciuto universalmente come “padre della casa passiva”.

La prima LEED for Retail ad un negozio italiano

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Quanto può fare l’industria del Retail per ridurre l’impatto sull’ambiente? La nuova Coop di Carpi, via Carlo Sigonio (MO) è il primo edificio in Italia e il secondo in Europa ad ottenere la prestigiosa certificazione “LEED for Retail”, la cui targa, arrivata nell’ottobre 2014, è esposta all’entrata del supermercato.

LEED FOR SCHOOL LIVELLO PLATINUM AD UNA SCUOLA DI TRENTO 

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Il certificato LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) è il protocollo più diffuso a livello mondiale sugli edifici a basso impatto ambientale che certifica le nuove costruzioni o ristrutturazioni che presentano le migliori soluzioni di risparmio energetico, comfort e vivibilità degli ambienti.

Macro Design studio di Rovereto ha seguito per conto di Coop Estense sin dalle prime fasi di progetto il processo di certificazione LEED, lavorando in sinergia con i suoi consulenti, il gruppo di progettazione INRES e l’impresa di costruzione CMB.

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Il progetto ha avuto come obiettivo quello di dare al punto vendita un carattere fortemente improntato alla sostenibilità ambientale e al risparmio energetico, realizzando un edificio a basso impatto ambientale, aumentando il comfort e la vivibilità interna per clienti e lavoratori, riducendo i costi di gestione rispetto ad analoghi punti vendita e mantenendo lo stesso livello di qualità e servizio.

La scheda del punteggio che ha prodotto l’ottenimento della certificazione consiste nella somma dei crediti che l'edificio ha raggiunto in sette aree tematiche: sostenibilità del sito, gestione efficiente dell'acqua, energia e ambiente, materiali e risorse, qualità dell'aria negli ambienti interni, progettazione e innovazione, priorità regionale. Con il punteggio di 65, Carpi Sigonio si aggiudica la certificazione LEED livello GOLD, la più alta dopo la platinum.

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{youtube}ievEkHBfgj0{/youtube}

L’illuminazione all’interno dell’edificio è pressoché naturale, grazie alle ottantacinque celle solari che captano, rifrangono e amplificano la luce dal tetto, ed è stato previsto un sistema di dimerizzazione dell’illuminazione, affinché i led si spengano qualora il livello di luce naturale sia sufficiente.

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La qualità dell’aria interna è continuamente rigenerata servendosi di una “cascata” di piante vere, sopra gli scaffali, che contribuiscono a migliorare la salubrità abbattendo l’anidride carbonica in circolazione. La temperatura è costante, in tutti i reparti, ed è mantenuta grazie all’utilizzo di frigoriferi verticali e chiusi da sportelli di vetro. Risparmio energetico non indifferente, sia per la conservazione degli alimenti che per evitare il fastidioso passaggio “in ghiacciaia” quando ci si avvicina alla zona dei surgelati.

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Le soluzioni per contenere i consumi non finiscono qui: doppie porte agli ingressi e tripli vetri alle finestre, un riciclo dell’acqua piovana per le toilettes, l’importanza dell’isolamento che ha visto l’impiego di abbondanti strati di lana di roccia le strutture, la centrale termica che trasforma il calore prodotto dai motori frigoriferi in riscaldamento.

Il supermercato sostenibile costa più di quello tradizionale? I progettisti Davide Roncaglia (direttore tecnico Coop), Michele De Beni (consulente per il risparmio energetico) e l’architetto Paola Moschini (responsabile del protocollo Leed) dicono che, a fronte di una spesa che supera del 2% i costi di partenza, il risparmio energetico in tre anni sarà tra il 35 e il 45%.

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Il progetto di un asilo aziendale tra sostenibilità e pedagogia

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Il Gruppo Cariparma Crédit Agricole di Cavagnari, Parma, ha affidato allo studio di progettazione ZPZ Partners la realizzazione del proprio asilo nido aziendale, secondo tre linee-guida principali:

  1. Attenzione all’ecologia e alla sostenibilità con utilizzo di risorse energetiche rinnovabili, uso dei sistemi passivi e contenimento della dispersione energetica.
  2. Dialogo tra pedagogia e architettura, dove l’identità funzionale ed estetica degli ambienti sostiene l’immagine di un bambino esploratore, competente e abile.
  3. Mix tra pubblico e privato per coniugare le esigenze dei genitori dipendenti di Cariparma e le esigenze delle famiglie che vivono nel quartiere, fornendo nel progetto un punto d’incontro.

IL COLORATO ASILO DI BANGALORE DA UN'ANTICA FABBRICA DI OROLOGI

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IL PROGETTO ARCHITETTONICO DELL'ASILO

È nata così una struttura che si presenta come un insieme di padiglioni collegati a una piazza centrale, coperti da un unico tetto a geometria variabile, che funziona da fulcro dell’edificio e offre molte occasioni d’incontro per le attività collettive. La piazza è illuminata ai lati da vetrate e da un grande lucernario rotondo, è un ampio spazio di gioco e di socializzazione per bambini di età diverse.

Le aule e i laboratori sono orientati verso sud, per sfruttare l’irraggiamento naturale e l’affaccio sul verde. Vi è anche una zona porticata per attività all’aria aperta; gli spazi di servizio e gli uffici si trovano a nord, con affaccio sulla strada; a ovest la cucina e l’accesso riservato ai fornitori.

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L'APPROCCIO PEDAGOGICO

Le finiture, gli arredi interni, le qualità spaziali che compongono l’acustica, le luci, il paesaggio materico, i colori, sono studiati in modo strategico per dare identità al progetto pedagogico, costituito da un ambiente che ha esigenze di flessibilità e mutevolezza e che sia ricco e stimolante da un punto di vista sensoriale, allo scopo di influenzare le capacità percettive e cognitive dei bambini.

La gamma cromatica si presenta con tante sfumature e tanti colori accostati tono su tono, per generare vibrazione e varietà, o in contrapposizione fra loro, mantenendo una bassa saturazione con alcuni colori di accento.

L’illuminazione è data da differenti sorgenti luminose, lampade a led, alogene, fluorescenti, con diversi corpi illuminanti per diversificare il tipo di luce (diretta o indiretta, concentrata o diffusa) e la possibilità di variare l’intensità e la tonalità cromatica.

L’ambiente materico è molto ricco e complesso, con superfici opache e lucide, lisce e ruvide, trasparenti e traslucide, elementi morbidi multisensoriali.

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L'APPROCCIO SOSTENIBILE

La sostenibilità del progetto si evidenzia nell’uso della tecnologia lignea che ha permesso tempi rapidi di realizzazione e un alto grado d’isolamento e di contenimento energetico; la precedenza a vernici e materiali che non rilasciano sostanze nocive nel tempo; l’utilizzo di pannelli solari e fotovoltaici per la produzione di acqua calda sanitaria e di energia elettrica; l’esposizione degli ambienti dedicati ai bambini verso sud, conservando, all’esterno, la maggior parte delle essenze arboree esistenti, a protezione dal sole nei mesi estivi e per una migliore difesa acustica.

FICO wellness club. Il concorso per il centro benessere sostenibile

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Un progetto agroalimentare ambizioso, che richiamerà a Bologna 9 milioni di turisti all’anno, aprirà le porte nel 2016. F.I.CO.®, il più grande parco didattico al mondo dedicato all’agroalimentare, in 80 mila metri quadri ospiterà piscine, fattorie didattiche e ristoranti. Un simile progetto sta già innescando meccanismi di trasformazione urbana, finalizzati a dotare F.I.CO. del proprio naturale completamento di servizi per turisti e visitatori. In quest’ottica si inserisce Food & Wellness Club, concorso di progettazione per la realizzazione di un’area benessere destinata ai visitatori di FICO.

UN’ECCELLENZA ARCHITETTONICA INTERNAZIONALE

FICO Wellness Club, l’oasi di benessere vicina a F.I.CO.®, vuole essere un’eccellenza architettonica internazionale. I progettisti non sono chiamati a disegnare un’area satellite del prestigioso parco, ma ad ideare un punto attrattivo di per sé, in grado di raccogliere i visitatori più esigenti in un’atmosfera accogliente dove le tecnologie avanzate garantiscono il benessere dell’utente in ogni ambiente. Elementi architettonici interattivi ed un design multisensoriale dovranno far sentire i visitatori in un luogo unico ed innovativo, fortemente connesso al tema del parco.

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Il centro benessere, oltre all’acqua zone, cuore dell’intervento, ospiterà anche un’area per la meditazione, una spa, una palestra, un parrucchiere ed una zona dedicata alla vendita di trattamenti di bellezza.

La visita a FICO Wellness Club sarà un’esperienza completamente centrata sulla cura ed esaltazione del corpo, in ambientazioni sempre diversificate e stupefacenti.

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GIURIA E PREMI

In giuria Italo Rota, designer degli spazi interni del Musée d’Orsay; Nicola Scaranaro, associato di Foster + Partners dal 2005; Edoardo Milesi, esperto in materia di tutela paesistico ambientale; Andrea Segrè, Professore Ordinario di Politica agraria internazionale e comparata nella Facoltà di Agraria dell'Università di Bologna e Donald Bates, recentemente designato quale giurato per il premio Holcim Awards for Sustainable Construction.

Al primo classificato sarà assegnato un premio di 8 mila euro; 4 mila al secondo, 2 mila euro al terzo. Al quarto e quinto classificato sarà riconosciuto un rimborso spese di 500 euro. Sono previste 8 menzioni di onore non onerose ma ottenenti visibilità e pubblicità.

Per il bando ed ulteriori informazioni si rimanda al sito di YAC.

Food & Wellness club. Il concorso per il centro benessere sostenibile

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Un progetto agroalimentare ambizioso, che richiamerà a Bologna 9 milioni di turisti all’anno, aprirà le porte nel 2016. F.I.CO.®, il più grande parco didattico al mondo dedicato all’agroalimentare, in 80 mila metri quadri ospiterà piscine, fattorie didattiche e ristoranti. Un simile progetto sta già innescando meccanismi di trasformazione urbana, finalizzati a dotare F.I.CO. del proprio naturale completamento di servizi per turisti e visitatori. In quest’ottica si inserisce Food & Wellness Club, concorso di progettazione per la realizzazione di un’area benessere destinata ai visitatori di FICO..

UN’ECCELLENZA ARCHITETTONICA INTERNAZIONALE

Food & Wellness Club, l’oasi di benessere vicina a F.I.CO.®, vuole essere un’eccellenza architettonica internazionale. I progettisti non sono chiamati a disegnare un’area satellite del prestigioso parco, ma ad ideare un punto attrattivo di per sé, in grado di raccogliere i visitatori più esigenti in un’atmosfera accogliente dove le tecnologie avanzate garantiscono il benessere dell’utente in ogni ambiente. Elementi architettonici interattivi ed un design multisensoriale dovranno far sentire i visitatori in un luogo unico ed innovativo, fortemente connesso al tema del parco.

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Il centro benessere, oltre all’acqua zone, cuore dell’intervento, ospiterà anche un’area per la meditazione, una spa, una palestra, un parrucchiere ed una zona dedicata alla vendita di trattamenti di bellezza.

La visita a Food & Wellness Club sarà un’esperienza completamente centrata sulla cura ed esaltazione del corpo, in ambientazioni sempre diversificate e stupefacenti.

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GIURIA E PREMI

In giuria Italo Rota, designer degli spazi interni del Musée d’Orsay; Nicola Scaranaro, associato di Foster + Partners dal 2005; Edoardo Milesi, esperto in materia di tutela paesistico ambientale; Andrea Segrè, Professore Ordinario di Politica agraria internazionale e comparata nella Facoltà di Agraria dell'Università di Bologna e Donald Bates, recentemente designato quale giurato per il premio Holcim Awards for Sustainable Construction.

Al primo classificato sarà assegnato un premio di 8 mila euro; 4 mila al secondo, 2 mila euro al terzo. Al quarto e quinto classificato sarà riconosciuto un rimborso spese di 500 euro. Sono previste 8 menzioni di onore non onerose ma ottenenti visibilità e pubblicità.

Architettura Ecosostenibile è partner dell'evento. Gli autori dei progetti premiati avranno l'occasione di vedere pubblicata una video intervista sul sito sulla bioarchitettura più visitato in Italia.

Per il bando ed ulteriori informazioni si rimanda al sito di YAC.

La casa rivolta verso oriente. Il recupero di un edificio pugliese

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In Puglia, in un paesaggio contraddistinto dalla presenza di possenti ulivi e querce secolari, antico ricordo del Bosco di Belvedere, si trova San Cassiano, piccolo borgo in provincia di Lecce. Tra le sue tortuose vie, caratterizzate da case addossate le une alle altre, un piccolo edificio abbandonato è stato recuperato e adibito ad abitazione che guarda verso oriente dallo studio di progettazione Metamor in collaborazione con l’architetto Laura Colonna.

RECUPERO IN PUGLIA: LA TABACCHIERA DIVENTATA B&B

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IL PROGETTO DI RECUPERO DELL'ABITAZIONE

La casa pugliese occupa un lotto “gotico”: i lati corti sono aperti, mentre i lati lunghi sono completamente ciechi. La costruzione si presentava come il risultato di diversi rimaneggiamenti e aggiunte succedutesi nel corso degli anni. L’obiettivo del progetto è stato quello di razionalizzare gli spazi senza stravolgere l’impianto e l’immagine dell’edificio, infatti, all’apparenza sembra che non sia stato effettuato alcun intervento. Sul fronte strada rivolto verso Ovest nulla risulta alterato, mentre sul retro, che si affaccia verso un piccolo giardino orientato ad Est, è stato aggiunto un volume addossato alla costruzione esistente e schermato in parte con una serie di mattoni che dall’esterno ricordano un’antica colombaia.

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Le originarie volte a stella sono state mantenute e contraddistinguono gli ambienti della zona giorno che durante l’estate risultano naturalmente raffrescati grazie agli elevati spessori dei muri in pietra. Il nuovo corpo di fabbrica contiene gli ambienti di servizio e i collegamenti verticali. La scala, che è stata realizzata per connettere dall’interno i tre livelli su cui si sviluppa l’edificio, si affaccia verso il giardino e lungo le sue pareti è stata collocata una libreria per sfruttare al meglio ogni angolo.

Ampie aperture caratterizzano il prospetto che guarda verso oriente in modo da poter ammirare, durante i giorni in cui spira la Tramontana, i Monti Acrocerauni situati al confine tra l’Albania e la Grecia.

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25 Verde. L'edificio-foresta a Torino

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25 Verde è il primo edificio-foresta, ideato dall’architetto Luciano Pia, e sorge a Torino, in via Chiabrera, a pochi passi dal Parco del Valentino e dal Centro Storico Fiat. Questa costruzione ha da subito stupito gli abitanti del posto ed ha richiamato l’attenzione a livello nazionale ed internazionale: come un polmone verde nel capoluogo piemontese, città con un altissimo tasso di inquinamento atmosferico, regala davvero una ventata di freschezza ed ossigeno ad un centro parecchio congestionato.

TORINO E IL QUARTIERE GREEN: NIENTE AUTO, SOLO PEDONI 

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La spinta innovativa del progetto 25 Verde si percepisce già guardando l’esterno dell'edificio: il verde viene utilizzato in facciata, elementi strutturali alberiformi in Cor-Ten sostengono grandi terrazzi aventi doghe di legno, ampie pareti vetrate si aprono sia sulla strada che verso il giardino interno, tecnologie innovative permettono il risparmio energetico, consentendo un ridotto consumo energetico ed un basso impatto ambientale.

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L’architetto Pia spiega così il suo progetto torinese: "Non avendo la possibilità di costruire una casa in mezzo a un parco abbiamo pensato di costruire un parco in mezzo a una casa, ricreare la sensazione di vivere dentro a un bosco".

Il sistema del verde è caratterizzato da un verde multiforme: dalle fioriere al giardino, dal verde pensile in copertura al verde verticale in facciata. Le essenze, che assicurano una varietà di portamento, fogliame, fioritura e colore.

L’involucro è stato studiato attentamente per garantire le prestazioni energetiche dell’edificio e la sua durata nel tempo: il cappotto continuo su tutte le superfici esterne esposte garantisce un buon isolamento termico generale, i serramenti ad alto isolamento termico garantiscono elevate prestazioni con un sistema di legno e vetrocamera doppio.

Gli impianti lavorano insieme all’edificio per garantire il raggiungimento di elevati standard energetici: produzione del calore e del freddo con pompe di calore ad acqua di falda, recupero del calore per l’abbattimento dei costi di raffrescamento, risparmio idrico tramite la raccolta dell'acqua piovana, risparmio idrico ed energetico tramite gli economizzatori d’acqua, risparmio idrico ed energetico tramite i doppi attacchi (freddo e caldo) per gli elettrodomestici, regolazione del comfort.

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City Life: Hadid, Libeskind e Isozaki per un quartiere di lusso a emissioni zero

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Siamo a Milano nel quartiere City Life, realizzato dal Gruppo Generali per riqualificare la zona della storica Fiera Campionaria, che si estende su una superficie di 336.000 mq.

L’intero progetto si compone di un grande parco, il terzo di Milano per dimensioni, un’area residenziale per circa 4500 residenti, tre torri a destinazione direzionale, commerciale e servizi, un asilo nido, percorsi pedonali e parcheggi sotterranei.

In quest’oasi green, l’archistar anglo-irachena Zaha Hadid presenta le sue sette palazzine residenziali, collaborando con Daniel Libeskind e Arata Isozaki per dare un nuovo volto al quartiere milanese.

BABY LIFE: UN ASILO PER L'AREA CITY LIFE DI MILANO

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IL PROGETTO DI CITY LIFE

Il suo progetto privilegia un andamento sinuoso delle facciate, realizzate al 60% con metodi parametrici e rivestite da candido alluminio e doghe in legno di cedro che, viste dall’alto, formano un cordone continuo ondulato attraversato diagonalmente da un viale pedonale.

L’altezza delle residenze varia dai cinque ai tredici piani, per un totale di 225 appartamenti, studiati con metrature differenti e dotati dei più moderni sistemi domotici, dal trilocale di 90 mq all’attico duplex extralusso e una palestra comune a disposizione dei condomini. 

Spiega l’architetto Maurizio Meossi dello Studio Hadid: ”La sfida è stata quella di dialogare con volumi diversi fra loro, che fossero però riconoscibili come un organismo unitario e coerente”.

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LA SOSTENIBILITÀ DI CITY LIFE

Le palazzine sono certificate in classe A, la loro forma a corte sfrutta il raffrescamento naturale delle aree verdi presenti, mentre fontane e specchi d’acqua favoriscono l’evaporazione, agendo come climatizzatore naturale.

Ampie vetrate sono poste sul lato sud-est, per sfruttare al meglio la radiazione solare durante l’inverno e un sistema di brise-soleil sulle terrazze evita il surriscaldamento delle facciate in estate.

Il riscaldamento e la climatizzazione degli appartamenti sono regolati da un impianto geotermico, associato a un sistema di teleriscaldamento; l’acqua utilizzata è recuperata per l’irrigazione delle aree verdi comuni e per gli scarichi dei servizi igienici.

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UNA TRIPLA PELLE

Particolari le facciate che utilizzano una “tripla pelle” ventilata, ad alta tecnologia e a elevata efficienza energetica. Come spiega l’ingegner Davide Mangini: "Per il rivestimento delle facciate non ci sono prodotti di serie ma singoli elementi su disegno, customizzati, per assecondare al meglio le specifiche richieste dello studio Hadid. Su più di due milioni di pezzi, il 60 per cento ha un codice singolo, caratterizzato da un’unicità produttiva. Il risultato è una facciata-puzzle che riveste come una pelle lo scheletro in calcestruzzo armato degli edifici. Uno schermo del tutto indipendente rispetto alla struttura interna che funziona come una sorta di sandwich tecnologico organizzato secondo tre diversi layers: il reticolo in alluminio estruso, connesso ai solai in calcestruzzo, che contiene vetri e serramenti; il sistema oscurante avvolgibile realizzato in doghe di alluminio; il rivestimento ventilato opaco caratterizzato da pannelli in alluminio verniciato bianco, alternati a pannelli in cedro canadese”.

25 Verde. L’edificio che cresce, respira e cambia nel tempo

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Allontanarsi dallo smog e vivere “la foresta” in città. I paesi anglosassoni la chiamano urban forestry, quell’oasi rurale nell’ambiente costruito; così nel centro urbano torinese mette radici la “casa sull’albero” rimanendo in città. L’idea del progetto 25 Verde dell’architetto Luciano Pia nasce dalla volontà di mettere in relazione persone e natura con il paesaggio costruito; gli alberi all’interno seguono il ciclo delle stagioni, proteggono dall’inquinamento acustico, e creano quel microclima ideale tipico della bio-architettura, mitigando gli sbalzi termici tra estate ed inverno.

In una città così inquinata da smog e polveri sottili si intrecciano le strutture metalliche organiche pensate dall’architetto, atte a sorreggere gli impalcati lignei dei terrazzi e convogliare le acque piovane recuperate per irrigare “senza sprechi”.

TORINO SOSTENIBILE: L'HOUSING SOCIALE PER OSPITALITÀ TEMPORANEA

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25 Verde è un tessuto mix di 5 piani che affronta la sfida di integrare un progetto organico con soluzioni tecnologiche efficienti, con l’isolamento a cappotto, le pareti ventilate e la protezione dall’irraggiamento diretto. Gli appartamenti si avvalgono anche della presenza di contabilizzatori singoli per i consumi di riscaldamento e raffrescamento che utilizzano pompe di calore e acqua di falda.

Cosa si intende per green in 25 Verde?

Il progetto è caratterizzato da un verde che nasce dalle fioriere sui terrazzi, al giardino-corte, al verde verticale in facciata, al verde pensile in copertura, come parte integrante dell’architettura. La fioriere in acciaio corten a forma di cono rovesciato variano la propria grandezza  a seconda delle dimensioni degli alberi che ospitano, alternandosi tra i 2,5 metri fino agli 8 metri d’altezza.

Anche l’esposizione di ogni singolo terrazzo è caratteristica delle diverse scelte della tipologia di albero, e di diretta conseguenza dell’altezza di quest’ultimo.

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Uno dei punti di forza del progetto è l’integrazione tra la qualità architettonica con le prestazioni energetiche: quest’ultime sono rese possibili dall’involucro. Con questo sistema di tamponamenti esterni collaborano gli impianti tecnologici al fine di raggiungere elevati standard energetici che portino al buon raggiungimento di comfort interno, manutenibilità e sostenibilità ambientale.

Il sistema di caldaia tradizionale viene sostituita da un sistema di pompa di calore geotermica ad acqua di falda che rappresenta il sistema di produzione di energia termica e frigorifera più efficiente per il sistema edificio-impianti dell’oggetto in considerazione.

Chi ospita 25 Verde?

Gli appartamenti sono “solo per 63”, e tutti diversificati tra di loro: dai loft soppalcati al piano terreno, dotati di giardino e terrazzo, ad unità abitative di metratura variabile dotate di doppio terrazzo tra il primo ed il quarto piano, ad unità abitative con metrature nettamente maggiori all’ultimo piano, coperto da tetti verdi ad uso privato.

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Ogni unità immobiliare è dotata di un sistema di riduzione dei consumi d’acqua calda dei terminali di erogazione. Ogni tubazione di alimentazione dell’acqua calda come possono essere i rubinetti, il lavabo il bidet e le docce sono provvisti di un “economizzatore” di acqua calda che consente di risparmiare fino al 40% dell’acqua che normalmente viene utilizzata, e soprattutto un risparmio energetico necessario per riscaldarla.

La campagna marketing di 25 Verde

Un’altra particolarità del progetto 25 Verde è la campagna pubblicitaria che ha accompagnato il progetto dalla nascita alla vendita, tutta torinese.

L’obiettivo era quello di promuovere un edificio residenziale a pochi passi dal centro cittadino, il quale per la sua particolarità e “contemporaneità” avrebbe sicuramente spaccato in due l’opinione pubblica e la critica. Così per dar maggior rilievo e visibilità si è pensato di dar voce alle migliaia di persone che avrebbero rifiutato l’idea innovativa dell’architetto, esprimendo tramite locandine pubblicitarie il loro “non interesse” e disprezzo verso l’innovazione.

Durante tutto il periodo di progettazione e realizzazione dell’opera la campagna è andata avanti, accentuando maggiormente gli aspetti di impatto ambientale, vivibilità, comfort e adagiabilità. Poi arriva il momento di aprire l’ufficio vendite, e le stesse locandine denigratorie, assumono un retrogusto più amaro.

Dopo due anni dalla realizzazione delle prime campagne pubblicitarie, la stampa conclusiva si presenta così.

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L'Expo nella storia: tra cultura e tradizione

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A distanza di 164 anni dalla prima esposizione universale di Londra, il prossimo 1 Maggio Milano aprirà le porte al mondo intero per inaugurare Expo 2015. La 35° edizione della manifestazione sarà sviluppata sul tema: “Nutrire il pianeta”. Tutte le esposizioni universali precedenti hanno affrontato temi riguardanti l’intera umanità e focalizzati sull’ambiente, l’emergenza alimentare, ecc.

A partire dal 1923 l’Ufficio Internazionale Esposizioni tracciò le linee guida delle esposizioni universali, decidendo di svolgerle ogni cinque anni per una durata di almeno sei mesi. Nonostante la natura temporanea, la maggior parte delle Expo hanno lasciato una forte impronta nei diversi paesi in cui sono state ospitate.

A questo proposito ripercorreremo la storia delle esposizioni universali soffermandoci su alcune edizioni che storicamente lasciarono il segno.

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Le esposizioni universali nella storia

Il 1851 è ricordato come anno della prima esposizione universale a Londra, intitolata Great Exhibition of the work of Industry of all Nations; fu un’occasione per mostrare al mondo intero la potenza industriale inglese. Questa edizione rimase nella storia per il noto Crystal Palace, grazie all’uso innovativo di ferro e vetro, in seguito distrutto da un incendio.

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Nel 1876 Expo sbarca per la prima volta negli Stati Uniti a Philadelphia, con un’edizione visitata da circa 11 milione di visitatori, in cui viene presentato per la prima volta al pubblico il Ketchup.

In seguito ricordiamo l’Expo del 1889, come la più famosa tra le esposizioni universali, tenutasi a Parigi per la ricorrenza del centenario della rivoluzione francese. In tale occasione fu costruita la Tour Eiffel (alta 324 m) che doveva essere smontata al termine dell’esposizione e invece ancora oggi rimane come uno dei maggiori simboli di Parigi e della Francia. La capitale francese ospitò anche nel 1900 una successiva edizione divenuta popolare per il record di oltre 50 milioni di visitatori e il cinematografo dei fratelli Lumière. Tuttora la città porta i segni di questa esposizione, poiché furono costruite la Gare de Lyon, la Gare d’Orsay (attuale Musée d’Orsay), il Petit Palais, il Grand Palais e il ponte Alessandro III.

Il 1906 invece è l’anno dell’Italia, in particolare di Milano, che ospita per la prima volta Expo per celebrare l’apertura del traforo Sempione che permise il collegamento ferroviario tra Milano e Parigi. In seguito a tale esposizione rimasero il parco Sempione e l’acquario Civico.

Nel continente asiatico la prima esposizione avvenne nel 1970 a Osaka; i visitatori poterono ammirare per la prima volta un treno ad alta velocità che raggiunge i 500Km/h ,la prima versione di un telefono cellulare e un reattore nucleare; in questa edizione si sviluppò il tema del miglior utilizzo delle risorse naturali.

Il 2000 è particolarmente importante per la storia di Expo, soprattutto dal punto di vista della sostenibilità. Questa edizione si svolse per la prima volta in Germania, ad Hannover, lasciando alle future Expo un nuovo approccio: “i principi di Hannover”  grazie ai quali si inizio a porre maggior attenzione alla costruzione di padiglioni sostenibili e a ridotto impatto.

La 34° edizione di Expo, tenutasi nel 2010 a Shanghai, è segnata dal record di oltre 73 milioni di visitatori. L’esposizione a tema “Better city, better life” affrontava il tema dello sviluppo delle città sotto un’ottica sostenibile. In questa edizione si proposero nuovi modelli di città per dare una speranza di vita migliore a tutta l’umanità.

Questo percorso attraverso la storia di Expo si conclude con l’apertura di Expo 2015 a Milano, edizione in cui si tratterà il tema dell’alimentazione focalizzandosi sul diritto ad un’alimentazione sana e sufficiente. I padiglioni presenti, provenienti da tutto il mondo affronteranno questo argomento giocando con i temi della creatività, tradizione e innovazione tecnologica.

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IL PADIGLIONE ITALIANO

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L’Italia ha scelto di sviluppare, per il proprio padiglione, il tema dell’alimentazione attraverso il concept del “vivaio” metaforicamente concepito come uno spazio protetto che aiuta i progetti e i talenti dei giovani a germogliare, offrendo loro un terreno fertile. Le linee guida sono la trasparenza, l’energia, l’acqua, la natura e le nuove tecnologie.

Il padiglione italiano si propone come un landmark all’interno del villaggio Expo, collocato su uno dei quattro punti cardinali. La struttura, progettata in un’ottica sostenibile e a impatto quasi zero, é composta da quattro blocchi espositivi, rivestiti esternamente da 900 pannelli di cemento biodinamico. Questo materiale, prodotto all’80% da aggregati riciclati provenienti da scarti di lavorazione del marmo di Carrara, ha la proprietà di “catturare” gli inquinanti presenti nell’aria trasformandoli in sali inerti. Questo processo provoca la riduzione dello smog presente nell’aria.

GLI ALTRI PADIGLIONI DELL'EXPO

La maggior parte dei padiglioni presenti interpreta il tema della nutrizione in chiave sostenibile. L’Austria, per esempio, intitola il suo padiglione “Breathe” considerando il nutrimento primo dell’uomo, l’aria. Questo padiglione avrà una performance equivalente ad una foresta di 1,3 ettari, per opera di centinaia di alberi impiantati che produrranno 62 kg di ossigeno all’ora.

Israele sviluppa diversamente la tematica del nutrimento planetario, intitolando il suo padiglione “Fields of Tomorrow”. L’obiettivo é trasformare i terreni aridi in campi fertili grazie all’innovazione tecnologica del “Vertical planting” che propone la coltivazione di alimenti primari come riso, mais e grano su moduli verticali attraverso l’irrigazione a goccia computerizzata. Grazie a questa innovazione tecnologica, il padiglione israeliano si presenterà ricoperto da un campo verticale lungo 70 m e alto 12.

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Tanti altri saranno i padiglioni che svilupperanno in chiave sostenibile il tema della nutrizione e porteranno le loro specialità alimentari per sostenere e promuovere un evento di scambio culturale che soltanto pochi eventi universali come Expo possono consentire.

Saremo tutti curiosi di vedere se anche questa edizione lascerà il segno come le precedenti.

Ingegneria e riciclo: il progetto Autós a Green Utopia-Milano

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Con pallet, manichette antincendio non più in uso e altri materiali di riciclo si può realizzare un manufatto sostenibile. Lo dimostra Autós, padiglione smontabile costruito recuperando scarti, elaborato nell’ambito del Laboratorio di Progettazione degli elementi costruttivi del Corso di Laurea magistrale in Ingegneria edile-Architettura dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

UN PADIGLIONE "RICICLATO" FATTO CON CARTONI DEL LATTE 

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Il risultato di tre mesi di lavoro è un’auto(s)costruzione ottenuta con materiali di scarto e riciclo: dal recupero del legno di pallet sono stati create le strutture portanti, i rivestimenti derivano invece dalle manichette.

Alla planarità e alla regolarità della successione dei cinque portali si contrappongono la diversa inclinazione delle falde e la diagonalità del rivestimento, che lascia filtrare all’interno la luce tramite dei tagli.

Autós assume il ruolo di vetrina per divulgare l’attività svolta da anni in relazione al tema della bioedilizia e della sostenibilità all’interno del corso universitario, i cui studenti hanno realizzato tale installazione sotto la guida del Prof. Ing. Marco Ferrero, tutor e collaboratori (gli architetti Simone Luciani e Vincenzo Ramires Pomella e l’ingegnere Lorenzo Carrino), di concerto con Ocra Architetti Associati, Associazione culturale lab2.0 e Simone Luciani Lab.

ARCHITETTURA A TEMPO DETERMINATO

Sarà possibile visitare Autós alla Fabbrica del Vapore (Milano, via Procaccini 4), che dal 14 aprile all’8 maggio 2015 ospita la seconda edizione di "Green Utopia-Milano Expo 2015", evento dedicato all’architettura sostenibile contestualizzato sia nella Design Week che in Expo Milano 2015.

La costruzione è stata infatti smontata e portata a Milano, dove è stata riassemblata in uno dei più suggestivi siti di archeologia industriale della città riconvertito in luogo di incontro culturale. 

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D’altronde la nostra è un’epoca della modernità liquida in cui la mobilità è il valore più grande (Bauman), e parallelamente è anche un’epoca in cui è indispensabile approcciarsi ad ogni aspetto con un modus operandi attento alla sostenibilità.

Autós è un’opera di ingegneria che rispecchia tali duplici richieste dell’epoca di cui è diretto prodotto: da una parte è “a tempo determinato”, potendo essere smantellata e ricostruita altrove; dall’altra è un contenitore di sperimentazioni in tema di sostenibilità che dimostra la possibilità di rielaborare le potenzialità di materiali naturali come paglia, terra cruda e legno e di tecniche costruttive tradizionali garantendo comunque un’elevata efficienza dal punto di vista prestazionale e tecnologico.

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Fonte | Immagini e materiale informativo sono state concesse dal Prof. Ing. Marco Ferrero

Rome Community Ring: i vincitori

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Forte Portuense, edificato a fine ‘800 a difesa di Roma, e abbandonato per anni, è l’oggetto di Rome Community Ring: il concorso organizzato da Yac, Young Architects Competitions, in collaborazione con l’Università La Sapienza, Progetto Forti e l’Amministrazione della città di Roma, che ha aperto ai progettisti uno dei tesori nascosti della capitale.

Il forte si inserisce all’interno di un complesso sistema di difesa di cui fanno parte anche altre 14 strutture analoghe che cingono la vecchia città. Si tratta di un apparato difensivo eretto solo pochi anni prima della diffusione di sistemi balistici a lunga gittata che, scavalcando i forti con facilità, ne hanno velocizzato la dismissione.

Il concorso Rome Community Ring, inizialmente incentrato su Forte Portuense, è volto alla riqualificazione di tutti gli elementi puntuali del sistema di difesa ottocentesco romano e mira a trasformarli in strutture d’avanguardia deputate a cultura, benessere ed intrattenimento.

La giuria, composta dagli architetti Markus Scherer, Claudio Nardi, Maurizio Geusa e Simone Ferretti e dal Prof Ing Eduardo Currà, hanno recentemente decretato i vincitori ai quali sono stati assegnati premi di 8, 4 e 2 mila euro.

I VINCITORI DI ROME COMMUNITY RING

1° posto: Pyrphoros

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Il primo posto della competizione se l’è aggiudicato il team Pyrphoros con il progetto Rome Community Hill che ricrea un’oasi urbana attraverso la ricostruzione del paesaggio naturale della collina intorno al forte. L’idea di oasi urbana è esaltato dal fatto che la nuova costruzione proposta dal team è nascosta ad un livello inferiore rispetto al forte, il che contribuisce anche a dare maggiore rilievo alla costruzione storica.

Partecipanti: Eleni Ziova, Christina Lazou, Eirini Karaoli, Angeliki Rachioti, Lena Mantziou (consultant)

2° posto: Work in progress

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Work in progress, team vincitore del secondo posto ha sottolineato la capacità del forte di connettere il tessuto urbano piuttosto che frammentarlo, attribuendo nuovamente al Rivellino, da cui nella proposta si accede al forte, la centralità di un tempo.

Partecipanti: Davide Olivieri, Simone Langiu, Maria Pina Usai.

3° posto: Dauhaus

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Il team terzo classificato, Dauhaus, ha analizzato caratteristiche territoriali come accessibilità, trasporti e sostenibilità, per stabilire gli utilizzi più appropriati per il nuovo forte Portuense. Saranno collocati in nuovi edifici a basso consumo energetico a cui si accederà seguendo quattro possibili percorsi: tematico, multifunzionale, dell’artigianato ed il percorso “Community Center”.

Partecipanti: Agnese Salvati, Pierluigi Palese, Martina Paterlini, Silvia Mogini.

LE MENZIONI D’ORO

Due le menzioni d’onore assegnate per il concorso. Una va a RAPAstudio, il gruppo di Luca Abbadati e Marialuisa Rovetta, che ha interpretato il tema del forte in chiave naturalistica, trasformandolo in un “diamante verde”. La seconda menzione d’onore è stata assegnata dalla giuria a TEAM IV, il team di Dominik Kozak, Ambroz Bartol, Miha Munda e Rok Staudacher.

Recupero di un vecchio fienile: podere Aiaccia

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Situato nei pressi di Rignano sull’Arno, provincia di Firenze, sorgeva diroccato e dimenticato da tempo il complesso colonico denominato “Podere Aiaccia”. La rinascita è stata possibile grazie alla definizione di una nuova destinazione d’uso, ma soprattutto grazie al meticoloso lavoro di analisi critica dell’esistente e di progettazione dell’intervento di recupero curato dall’Architetto Silvia Nanni.

IL RECUPERO DEL VECCHIO FIENILE TRASFORMATO IN CASA DI VACANZE

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IL PROGETTO DEL PODERE

Il complesso architettonico è costituito da due edifici distinti, uno principale e un fienile, collocati su di un crinale ventoso. I volumi sono adagiati sul terreno in apparente ordine casuale cercando di mimetizzarsi il più possibile nel paesaggio, in realtà la loro posizione è dettata da esigenze di benessere ambientale interno sfruttando i venti dominanti. I proprietari hanno deciso, in accordo con le vigenti normative, di destinare i due stabili ad abitazione: tre appartamenti sono stati collocati nell’edificio principale, mentre l’ex-fienile è occupato da un’unica unita immobiliare.

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La mano del progettista è stata guidata dal desiderio di raccontare le vicende storiche dei manufatti e soprattutto la stratificazione dei materiali e delle tecniche costruttive che si sono succedute nei secoli aggiungendo un capitolo alla storia dell’edificio. Il complesso, come oggi lo vediamo, infatti, è il risultato di diverse aggiunte e sottrazioni effettuate nel corso degli anni. Tutto il recuperabile e riutilizzabile è stato salvato: ad esempio, le porzioni di laterizio dei muri portanti di cui si è reso necessario lo smontaggio sono state riutilizzate per il completamento della facciata.

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È stato necessario rinforzare le fondamenta attraverso l’inserimento di micropali e la creazione di sotto-fondazioni. I solai e le coperture, interessati da un avanzato stato di degrado, sono stati sostituiti optando per una soluzione tipica della tradizione fiorentina: travi e travicelli in legno di castagno e pianelle in cotto imprunetino. I volumi non sono stati alterati nonostante i nuovi pavimenti abbiano uno spessore maggiore di quelli preesistenti in quanto sono state inserite le tracce degli impianti. Inoltre, al piano terra è stato realizzato un vespaio aerato per evitare il contatto diretto con il terreno umido.

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La compatibilità dell’intervento e dei materiali è stata studiata di volta in volta in base all’evoluzione del cantiere in modo da adattarsi al meglio senza creare un ulteriore degrado. Spesso si preferisce una ristrutturazione pesante, sicuramente meno onerosa dal punto di vista economico, ma più costosa da tutti gli altri punti di vista. Recuperare i saperi, interpretarli e riutilizzarli costituisce un patrimonio inestimabile per la progettazione sostenibile. I mastri costruttori riuscivano a realizzare soluzioni ideali per il benessere abitativo senza ricorrere a materiali altamente specializzati, ma solamente ingegnandosi con i pochi mezzi che avevano a disposizione e soprattutto “ascoltando” il luogo.

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La passerella nella Valle dei Templi di Agrigento

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Nella famosissima Valle dei Templi ad Agrigento - Sicilia - da alcuni mesi è possibile passeggiare tra l'area del tempio di Zeus e l'area del tempio di Eracle senza soluzione di continuità. Le due zone archeologiche erano, infatti, separate dalla Strada Statale 118 e il percorso di visita risultava frazionato. La realizzazione della passerella pedonale, progettata dallo studio Cottone+Indelicato Architects in collaborazione con Joan Puigcorbe, ABGroup Ingegneria e Sofia Montalbano, permette la fruizione del parco rimarginando la ferita causata dalla costruzione della strada.

ARCHEOLOGIA E ARCHITETTURA: IL VINCITORE DEL PREMIO DOMUS RESTAURO 2014

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IL PROGETTO DELLA PASSERELLA NELLA VALLE DEI TEMPLI

Semplicità e integrazione nel contesto sono le peculiarità della passerella. Il manufatto, secondo gli intenti dei progettisti, si pone come ricostruzione ideale delle antiche mura della città greca che erano state interrotte dalla strada moderna. Il cavalcavia pedonale è costituito da un elemento lineare a sezione alveolare rastremato alle estremità, protetto su entrambi i lati da un ringhiera realizzata con elementi verticali di altezze differenti e posizionati a distanze variabili secondo un modulo ben preciso.

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Il materiale prescelto è stato l'acciaio corten sia per le sue qualità di resistenza meccanica, sia  per la sua capacità di mutare colore nel tempo. Infatti la patina che si crea sulla sua superficie varia dalle tonalità del bruno scuro e quelle della terra. In questo modo l'invecchiamento della passerella non diviene un degrado, ma un valore aggiunto integrandosi maggiormente nel contesto.

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Il cantiere è stato gestito in modo da essere veloce per non interrompere il collegamento stradale di vitale importanza per il traffico veicolare, e soprattutto poco invasivo per limitare gli scavi e i rinterri. La passerella, prefabbricata e montata in loco, è stata ancorata ad un sistema di appoggio in elastometro armato che ha permesso di evitare la realizzazione degli scavi necessari solitamente per la realizzazione del tradizionale sistema di fondazione.

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Tre "casedde" alle pendici dell'Etna trasformate in cantina enologica

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Sul versante Nord dell'Etna a Castiglione di Sicilia in provincia di Catania su di un altopiano posto a 870 metri sul livello del mare, alcune "casedde", tipiche costruzioni rurali della zona abbandonate da tempo e in parte crollate, sono state recuperate e trasformate in cantina enologica. I progettisti Santi Albanese e Gaetano Gulino del Gruppo VID'A hanno operato rispettando il contesto dominato da un lato dal vulcano e dall'altro dai monti Nebrodi e Peloritani senza modificare le volumetrie e soprattutto utilizzando materiali tradizionali.

UNA CANTINA A IMPATTO ZERO GRAZIE AI BIOMATTONI

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IL PROGETTO DELLA CANTINA

Il complesso è costituito da tre fabbricati disposti a "L" sulla porzione di terreno pianeggiante che si affaccia verso la valle del fiume Alcantara in modo da formare una corte con al centro una cisterna. Tutt'intorno la vegetazione invade ordinatamente il pendio della montagna: filari di vitigni alternati a muretti a secco fanno da cornice al complesso architettonico.

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I tre distinti volumi, che sono costituiti da muri in pietra lavica e da coperture a doppio spiovente in legno di castagno e coppi siciliani, sono suddivisi per destinazione d'uso. L'edificio più grande ospita gli ambienti dedicati all'accoglienza e alla degustazione dei vini, il secondo è dedicato alla conservazione e all'affinamento del vino in botti di rovere, mentre il terzo fabbricato è adibito ad abitazione disposta su due livelli. Non è stato previsto uno spazio per la vinificazione.

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I muri e i tetti sfondati sono stati ricostruiti tali e quali: materiali e tecnologie costruttive impiegati sono quelli che da sempre si utilizzano nella zona. Tutto il recuperabile è stato salvato e le partizioni interne aggiunte si sono limitate agli elementi necessari per l'inserimento dei bagni e degli impianti. L'unico intervento consistente è stato realizzato nell'edificio dedicato all'abitazione: la costruzione era fortemente danneggiata ed è stato necessario ristudiare l'impianto strutturale per adeguarlo alle norme sismiche, ma questo non ha implicato uno stravolgimento del volume che appare immutato.

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Dammusi di Pantelleria: abitazioni tradizionali esempi di sostenibilità

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I dammusi sono le abitazioni tradizionali dell’isola di Pantelleria: unità abitative di derivazione araba (le loro origini sono, infatti, da ricercarsi nel periodo in cui gli arabi abitavano l’isola, tra il VI e il VII secolo d.C.), oggi diventate famose anche perché sono molti i dammusi panteschi di recente acquistati e ristrutturati da personaggi illustri e abbienti, divenuti case di villeggiatura estiva.

Abitazioni tradizionali della Papua Nuova Guinea

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Originariamente nate come unità abitative per le famiglie contadine che avevano necessità di spostarsi tra le diverse aree dell’isola in base alla stagione e alle colture che operavano, i dammusi di Pantelleria dovevano garantire un certo comfort ai suoi abitanti, che non poteva dipendere da altro se non dalle risorse naturali che la stessa isola offriva. Per questo motivo i dammusi di Pantelleria sono tutt’oggi considerati bellissimi esempi di architettura ecosostenibile che hanno permesso agli abitanti dell’isola, grazie ad una straordinaria collaborazione tra uomo e natura, di vivere nel migliore dei modi in un territorio sotto certi aspetti inospitale e difficile.

I dammusi di Pantelleria s’inseriscono alla perfezione nel paesaggio, caratterizzato dai terrazzamenti che servono e soprattutto servivano in passato per facilitare le pratiche agricole su terreni collinari e scoscesi, e inoltre delimitano i confini delle piccole proprietà in cui è suddiviso il territorio, dalla cui trama intricata sorge poi il dammuso, che era realizzato con le stesse pietre ricavate dalla bonifica dei terreni per la formazione dei terrazzamenti.

caption: una vista dei terrazzamenti di Pantelleria.

Le cupole e le loro funzioni all’interno dell’architettura del dammuso

Una delle caratteristiche architettoniche principali dei dammusi è rappresentata dai tetti a cupola estradossata, il numero delle quali denuncia esternamente la quantità esatta delle stanze di cui è composto il dammuso. La copertura a cupola, spessa di solito 35 - 40 cm, è realizzata in pietra coperta da uno strato di terra, su cui viene steso un impasto di pomice vulcanica come isolante, e uno strato di tufo rosso e latte di calce, come impermealizzante.

caption: le cupole estradossate di un dammuso, a Pantelleria.

Il tetto a forma di cupola assolve tre funzioni principali: l’ampia superficie esposta ai raggi solari, infatti, garantisce che all’interno degli ambienti non vi sia traccia di umidità; la stessa superfice esposta al sole veniva utilizzata esternamente per  l’essiccazione dei prodotti agricoli locali come uvetta, fichi e pomodori. Inoltre i fianchi rialzati della cupola consentono di far confluire l’acqua piovana attraverso un canale aperto, detto "cannalata", che la dirige all’interno di una cisterna (la "jisterna"), dove si conserva la preziosa riserva di acqua.

La cisterna presenta di solito, oltre all’apertura superiore che permetteva di prelevare l’acqua piovana raccolta, un’altra apertura laterale, che serviva per entrare all’interno della cisterna per la pulitura, oltre che per creare un ricircolo d’aria che manteneva l’acqua fresca ed ossigenata. Non è raro che le cisterne dei dammusi siano di origine punica (ovvero costruite in principio in un periodo che va dall’IX secolo a.C. all’epoca romana).

Protezione dal vento e giardini

Essendo l’isola di Pantelleria soggetta a venti molto forti, i dammusi che sono stati costruiti in particolari aree molto esposte, hanno aperture rivolte verso un’unica direzione, mentre le altre facciate dell’edificio vengono lasciate cieche, per proteggere gli interni dal vento. La porta, disposta generalmente verso sud, è spesso fiancheggiata da due piccole finestre di dimensione 40x50 cm (che di solito sono le uniche della casa), in modo da sfruttare al meglio il calore e la luce negli interni.

Un altro elemento architettonico presente nel complesso dei dammusi è il giardino (u jardinu): i giardini sono solide costrizioni a secco edificate su pianta circolare, con muri che possono arrivare sino a tre metri di altezza, che avvolgevano uno o più alberi per ripararli dai forti venti marini. Gli alberi che di solito venivano riparati dal giardino erano alberi di agrumi e da frutta, palme da dattero e alberi di ulivo.

caption: un "Jardinu" di Pantelleria.

Il dammuso è un insieme di elementi architettonici particolari, che non sono stati nominati nell’ambito di questo articolo perché qui si sono solo voluti evidenziare alcuni aspetti sostenibili di una costruzione tradizionale, semplice ma efficace, che utilizza al meglio il materiale locale a disposizione, per creare degli esempi architettonici a cui forse dovremmo guardare più spesso oggi per le nuove costruzioni.

Wunderbugs: il padiglione ligneo che genera musica dal volo degli insetti

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L’uomo passa la maggior parte del tempo a cercare di superare la natura come se questa presentasse dei limiti e non si accorge che le soluzioni che sta cercando si celano nei meccanismi naturali che un occhio attento e curioso può osservare e reinterpretare. Non è un caso che, come nel caso del padiglione in legno Wunderbugs realizzato a Roma dallo studio OFL Architecture, le migliori soluzioni tecnologiche nascono proprio da un’attenta osservazione dei fenomeni naturali.

NATURA E ARCHITETTURA SI INCONTRANO CON LA BIOMIMETICA

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ARCHITETTURA E NATURA: IL CONNUBIO PERFETTO

Ma cosa succede se ad ispirarsi alla natura è l’architettura? Come si può ricreare un suono naturale per generare uno spazio suggestivo ed affascinante?

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Lo studio romano OFL Architecture nel padiglione Wunderbugs sfrutta il volo degli insetti per generare musica, grazie a questo progetto si aggiudica il premio A+Awards2015 per la categoria “Architettura+Collaborazione”. Il padiglione vede infatti la collaborazione tra diverse figure professionali quali: architetti, designers, una biologa, un tecnico del suono, un compositore ed un apicultore.

A rendere così speciale questo padiglione, installato a Roma negli spazi dei giardini pensili dell’Auditorium Parco della Musica per la seconda edizione del Maker Faire Europe, sono gli insetti e l’interazione tra uomo e natura.

UN PADIGLIONE IN MODULI DI LEGNO ASSEMBLABILI.

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Wunderbugs è un padiglione caratterizzato dall’unione delle forme tipiche del barocco romano rilette ed integrate dalle geometrie naturali tipiche del mondo degli insetti. Costituito da moduli in legno ripetuti, il padiglione può assumere numerose conformazioni a seconda della combinazione dei moduli stessi: 1.104 moduli ad arco, 92 rombi con fori circolari che consentono di alternare i vuoti e i pieni. Archi e rombi sono tenuti assieme da 198 nodi in legno che servono a gestire l’andamento curvilineo del padiglione, permettendo di generare spazi sempre diversi tra loro.

UNO SPAZIO FATTO DI SUONI E SUGGESTIONI.

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Ma il vero fulcro, il cuore pulsante del progetto, non è tanto la scatola quanto il contenuto. All’interno dello spazio racchiuso dal sistema modulare in legno sono presenti sei sfere trasparenti sostenute da elementi verticali in legno. Ognuna rappresenta un ecosistema interattivo con terra, piante ed insetti. All’interno sono presenti dei sensori che, grazie ad Arduino, permettono di controllare il movimento, la temperatura, l’umidità e l’intensità della luce solare in ogni singola sfera.

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Si trasforma in un vero e proprio spazio di interazione tra i visitatori e i microsistemi naturali: i dati registrati nelle sfere insieme a dei microsensori che percepiscono le posizioni dei visitatori permettono di modulare all’istante la composizione musicale che viene trasmessa all’interno del padiglione. Una sala dei suoni a cielo aperto in cui architettura e geometria, uomo e natura, grazie all’utilizzo sapiente della tecnologia, generano uno spazio sensoriale ed armonioso. 

Osservare con curiosità la natura è dunque quel valore aggiunto alla progettazione che può fornire grandi stimoli e portare a soluzioni progettuali del tutto eccezionali.

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Le case tipiche delle isole Eolie: sostenibilità e tradizione

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Le case tipiche delle isole Eolie (Lipari, Salina, Vulcano, Stromboli, Filicudi, Alicudi, Panarea), fortemente condizionate da fattori ambientali oltre che dall’influenza dell’edilizia Campana e di quella del Mediterraneo orientale, sono state costruite e si sono evolute nel tempo per garantire un comfort abitativo anche in condizioni climatiche svantaggiose, e in modo da resistere al meglio a terremoti di varia intensità, in un’area caratterizzata da una sismicità piuttosto elevata.

In copertina: foto di Adriano Bacchella

VIVERE SU UN'ISOLA: LE CASE DI PANTELLERIA

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L’orografia di queste isole è caratterizzata da terreni scoscesi, e ciò ha determinato il profilo degli insediamenti a gradoni terrazzati. La struttura della casa eoliana, che si è sviluppata dapprima in verticale tipo torre, e poi in orizzontale, è il risultato dell’adattamento nel tempo al clima locale, alla scarsità d’acqua e al suolo vulcanico che caratterizzano le isole.

Tipicamente le strutture delle case venivano realizzate con un sistema modulare di celle cubiche dal tetto piatto (detto astricu), a cui si affiancavano secondo le esigenze altri elementi cubici indipendenti, che non erano comunicanti tra di loro ma erano aperti sul bagghiu, il terrazzo-cortile caratteristico di queste abitazioni, che era il cuore della casa e il punto d’incontro per la vita sociale della famiglia.

caption: Il bagghiu di un casa eoliana con i biseli, le sedute in muratura. Foto Adriano Bacchella

Il bagghiu tradizionale consisteva in un terrazzo, sempre coperto da un pergolato sorretto dalle pulere – i pilastri tradizionali – sul quale di solito cresceva la vite. Tutt’attorno alla terrazza erano disposti i sedili in muratura, detti biseli e vi era anche un forno a cupola per la panificazione (il furnu); inoltre, al bagghiu, erano raccordati tutti I percorsi che conducevano alla casa, ovvero la cucina, le stalle, l’ovile, la tettoia per il ricovero estivo degli animali, gli essiccatoi per l’uva e per i pomodori, i magazzini e il lavatoio. Il bagghiu era il cuore della casa eoliana perché era lì che la famiglia passava il tempo insieme, il posto dove si mangiava, si lavavano i panni con l’acqua della cisterna, si riposava e si faceva appassire l’uva sui cannizzi.

caption: Il bagghiu di una casa di Panarea. Fonte Adriano Bacchella

caption: A sinistra, una casa tradizionale eoliana situata sulla costa orientale di Panarea. (Foto di Adriano Bacchella); a destra il tradizionale forno eoliano a cupola. ( Foto dell'agriturismo CasaGialla).

La raccolta dell’acqua piovana

Per raccogliere l’acqua piovana, preziosa in un territorio arido e con poche fonti naturali, il terrazzo era impermeabilizzato con il latte di calce mista a sabbia, e veniva costruito con una pendenza minima che permetteva all’acqua piovana di defluire attraverso dei canali in terracotta (detti casulere) che andavano ad alimentare la cisterna posta sotto al calpestio del bagghiu. Sulle casulere veniva spesso inserito un deviatore che faceva in modo che le prime acque canalizzate, sporche di polvere, foglie ed insetti, venissero scartate e non entrassero nella cisterna.

Isolamento termico e antisismicità degli edifici

Le fondamenta delle case venivano realizzate in blocchi di pietra lavica massiccia, mentre i muri erano di solito in pietra pomice, e il tufo veniva usato per la pavimentazione dalla terrazza: grazie all’utilizzo di questi materiale ad elevata inerzia termica l’edificio era adeguatamente isolato dal freddo invernale e soprattutto dalla calura estiva, per via della lenta escursione termica delle pietre laviche con cui erano costruite le pareti.

Inoltre il pergolato che ombreggiava il bagghiu attenuava il caldo torrido delle estati riparando anche gli interni della casa dai potenti raggi solari.

Per via della scarsa quantità di vegetazione a fusto alto si ha un ridotto utilizzo del legno nell’edilizia, le coperture delle abitazioni erano tuttavia realizzate in travi di legno dispose a 40 cm l’una dall’altra, e sulle travi veniva disposta una stuoia di canniccio  ricoperta a sua volta da uno strato di pietrame piuttosto fine e isolato con malta pozzolanica e calce, battuto per rendere il tetto impermeabile. Il tetto era così leggero e friabile rispetto alla massa solida dei muri: la diversa risposta che i muri (pesanti) e il tetto (leggero) hanno se sottoposti a vibrazioni ha fatto si che le abitazioni resistessero  alle frequenti sollecitazioni sismiche a cui sono sottoposte le isole eolie.

Orientamento delle case

L’orientamento delle case veniva scelto sia per ragioni di sicurezza, ovvero per avvistare in anticipo eventuali pericoli di attacchi via mare e cambiamenti climatici, ma anche per ragioni di confort abitativo (come per ripararsi dai forti venti di tramontana) e per sfruttare al meglio la ventilazione naturale all’interno degli ambienti: per questi motivi si prediligeva l’esposizione verso sud e a ponente, con la facciata principale sempre rivolta verso il mare.

Per evitare che i venti freddi entrassero in casa e per avere una migliore esposizione ai raggi solari, le aperture delle abitazioni erano poche e piccole, di solito orientate a mezzogiorno e a levante, mentre gli altri lati erano ciechi, fatta eccezione per la cucina che richiedeva un ricircolo d’aria maggiore rispetto alle altre stanze.

L’intonaco naturale da materiali locali

L’intonacatura a calce bianca, oggi popolare sulle isole insieme agli altri colori pastello che caratterizzano le abitazioni eoliane, è sopraggiunta solo negli ultimi anni: l’intonaco tradizionale poteva essere o di colore grigio, ottenuto da una miscela di pietra vulcanica con poca calce (che era costosa perché importata dalla Sicilia), oppure giallo ocra come a Panarea, e veniva creato mescolando la calce con l’ossido di magnesio depositato dalle fumarole della Calcara, una spiaggia a nord dell’isola.

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